Minor spazio alla discrezionalità

da Il Sole 24 ore dell'1.11.99

di Carlo Nordio
Lo schema del disegno di legge delega sulla riforma del diritto societario, elaborato dalla commissione Mirone, è dunque stato inviato al ministro della Giustizia nella sua versione definitiva. Si tratta del più serio e tenace tentativo di mettere ordine in una materia che, per la sua attuale complessità e contraddittorietà rischia di emarginare le nostre imprese dal contesto internazionale in cui operano.

L’articolo 10 disciplina il nuovo diritto penale societario. Impossibile tracciarne la portata in poche righe. Ci limiteremo dunque alla modifica di gran lunga più importante, quella concernente l’articolo 2621 del Codice civile che prevede il reato di false comunicazioni sociali. E qui le novità più rilevanti sono tre: l’estensione della disciplina al gruppo, e quindi al consolidato; la necessità di un’alterazione significativa; la limitazione della fattispecie ai fatti, e non alle valutazioni. Ciascuna di queste sarà oggetto, si suppone, di ampio dibattito, ed ecciterà le reazioni della parte più conservatrice della magistratura. La quale, detto per inciso, è in gran parte responsabile dell’urgenza della riforma, perché la sua interpretazione esageratamente rigorosa della legge vigente ha esteso le ipotesi punitive ben oltre la volontà originaria del legislatore.

L’esempio più significativo è costituito dalla rilevanza informativa delle poste occultate. Con la legge attuale, gli amministratori sono puniti con la reclusione fino a cinque anni quando espongono fatti non rispondenti al vero sulle condizioni economiche della società. Parte della dottrina, alla quale appartiene chi scrive, ha sempre sostenuto che il concetto di «condizione» riflette una situazione complessiva e finale, e che pertanto l’occultamento di cespiti marginali rispetto al fatturato e/o al patrimonio, per quanto deplorevole, e sanzionabile in sede civile, non altera la rappresentazione che la società fornisce ai terzi del suo stato globale. Nondimeno la giurisprudenza ha progressivamente fatto coincidere le «condizioni» con le «operazioni» sì da punire anche fatti di entità assai modesta.

Ora su proposta del ministero del Tesoro e della Banca d’Italia, sarà inserito il principio che «le informazioni devono essere significative e tali da alterare sensibilmente la rappresentazione della situazione stessa». Si tratta di una volontà chiara e univoca di circoscrivere il reato nei termini da noi sostenuti: l’unico rischio è rappresentato dall’interpretazione dei concetti di alterazione sensibile e di informazione significativa, che potrebbero introdurre le disparità di trattamento già sofferte per l’individuazione della modica quantità di stupefacenti e della "misura rilevante" della frode fiscale.

Altrettanto importante è la novità sulle valutazioni. Anche ora la legge punisce soltanto le false comunicazioni concernenti fatti. Tuttavia la Cassazione ha affermato il principio che quando la valutazione è manifestamente irragionevole si converte nell’esposizione non di un falso giudizio, ma di un falso fatto oggettivo. La proposta Mirone precisa che le informazioni dovranno riguardare «fatti, ancorché oggetto di valutazione» e quindi il capitolo dovrebbe chiudersi definitivamente. E del resto è molto più ragionevole che gli amministratori che si dedicano a valutazioni fasulle vengano puniti secondo le regole del Codice civile piuttosto che con l’arma, inefficiente e spuntata, del processo penale.

Infine il consolidato. Anche qui, la prassi aveva già esteso l’ambito dell’articolo 2621 Codice civile alla disciplina di gruppo. Ma lo aveva fatto in modo incerto e discutibile, arrivando al punto di accettare il principio che il redattore del consolidato non potesse non sapere quanto accadeva nei bilanci delle controllate, con una presunzione di colpevolezza sconfinante nella responsabilità oggettiva, che in diritto penale è quasi un’eresia. Ora la più rigorosa formulazione della rilevanza informativa e dell’elemento intenzionale (il fine di ingannare i terzi e di conseguire un ingiusto profitto) dovrebbe riportare la fattispecie in un ambito più circoscritto.

In conclusione la riforma appare ispirata a un solido buon senso che senza perdonare nulla agli amministratori disonesti e infedeli, libera tuttavia la gran parte dei nostri imprenditori dall’incubo di inchieste penali lunghe, devastanti e costose. L’unica cosa da sperare è che le prevedibili obiezioni della magistratura più aggressiva non rallentino, o addirittura vanifichino, questa iniziativa benemerita e coraggiosa.