Palermo, Di Pisa guida la corsa per diventare «vice» di Grasso 

da Il Corriere della sera dell'1.11.99

DAL NOSTRO INVIATO 
PALERMO - Dopo la «bomba» Martone, un'altra sta per deflagrare nel pianeta magistrati. La miccia è sempre innescata nella Procura retta fino a luglio da Gian Carlo Caselli, nell'ufficio dove un sostituto del «pool» palermitano ha pianto ascoltando con altri colleghi la diretta sull'assoluzione di Giulio Andreotti. Una sentenza che potrebbe rallentare qualche inchiesta, troncare tante carriere ed incidere adesso nella scelta dei quattro «aggiunti» del nuovo procuratore Piero Grasso. 
Questo appuntamento potrebbe lacerare il Consiglio superiore della magistratura, l'organo chiamato a designare e scegliere i quattro su una graduatoria di 30 aspiranti aperta, non solo per «anzianità», da Alberto Di Pisa. 
Ad una settimana dalla scadenza, chiacchiere e voci di palazzo montano fra i corridoi di questo tribunale dove qualcuno vorrebbe fare aleggiare ancora l'ombra del «corvo». Ma il giudice accusato di essere stato il «corvo» lanciato contro Falcone nell'89, condannato in primo grado e poi assolto da una macchia che i suoi avversari sventolano ancora, si ritrova alla guida del drappello di testa, indignato da chiacchiere sussurrate, mai ufficializzate. 
Si annuncia battaglia dura al Csm. Ma gli altri candidati, soprattutto i più famosi, lo seguono con fatica in coda alla lista. E' il caso di Roberto Scarpinato, uno dei pm del processo Andreotti: quindicesimo posto. Meglio di Ilda Boccassini che, per tornare da Milano in Sicilia, dovrebbe superare venti suoi colleghi più «anziani» facendo leva su meriti non da tutti riconosciuti: lei lasciò Palermo da sostituto «semplice» con forti polemiche alle quali seguirono perfino le risentite repliche di Alfredo Morvillo, il cognato di Falcone, adesso suo concorrente nella corsa ad «aggiunto», dall'undicesimo posto della graduatoria. 
Un elenco che vede in testa, dopo il giudice Di Pisa, un suo collega della Procura generale, Antonino Gatto, il barese Nicola Magrone e Giuseppe Pignatone. Quest'ultimo da due mesi già rientrato accanto a Grasso con le funzioni temporanee di «aggiunto» perché proveniente dalla disciolta «piccola procura». Un nome forte il suo. Legato alla storia di questi anni tormentati. Perché Pignatone, prima del '92, era considerato uno dei due pupilli dell'ex procuratore Piero Giammanco insieme con Guido Lo Forte, il vice di Caselli recentemente accusato di «imprudenza» da Cossiga. 
Grandi amici e titolari delle stesse inchieste, le strade di Pignatone e Lo Forte si divisero proprio con l'arrivo a Palermo di Caselli. Dopo tanti anni, i due si sono ritrovati nello stesso ufficio diretto da Grasso, da pari grado. E sembrano tornati i tempi felici. Con Lo Forte che, dopo quella sentenza, deve decidere se insistere o meno sull'inchiesta contenitore «sistemi criminali». E con Pignatone contrario alle inchieste di taglio «storico», stimato però da Piero Grasso che gli avrebbe affidato la «borsa» della Procura per utilizzare i quattrini dell'ufficio seguendo una direttrice obbligata: arginare le spese ormai vertiginose per viaggi ed altro. In quello che fu definito il «palazzo dei veleni» le cordate tornano a campeggiare. Di qui la querelle su Di Pisa che non resta impermeabile ai vocii, sperando che non si ripeta quanto accadde nel '95 a Roma, nella sede del Csm. Era un mattino di febbraio. E l'allora vice presidente Giovanni Galloni lo aveva convocato per chiedergli scusa e reintegrarlo nelle funzioni dopo l'era dei sospetti cancellati dalla sentenza di secondo grado. Come rientrare nei ranghi, dopo gli anni del «pool» antimafia, dopo i contrasti (o gli equivoci?) con lo stesso Falcone? Fu lo stesso Galloni a proporre un immediato inserimento nella Direzione nazionale antimafia, accanto a Vigna. E l'allora presidente della commissione trasferimenti, Alfonso Amatucci, annunciò che il caso sarebbe stato discusso con assoluta priorità. «Non ho presentato la domanda», osservò Di Pisa. «Ecco i moduli», replicarono affabili i suoi interlocutori. Poi, cominciarono a passare settimane e settimane, finché Di Pisa fu assegnato come sostituto alla Procura generale di Palermo. Non glielo levò nessuno dalla testa che sull'asse Palermo-Roma s'era tessuta una rete di veti incrociati. Che cosa si disse allora? Lui non vorrebbe parlarne. Ma ricorda con fastidio il termine che balenò, senza motivazioni ufficiali: «Opportunità». E adesso, dopo tanti anni di vana caccia al vero «corvo», qualcuno ripeterà che promuovere Di Pisa come vice di Grasso non è «opportuno»? Questo il quesito che toglie il sonno a tanti candidati eccellenti. La data della scelta si avvicina e il Csm dovrà esaminare i fascicoli dei 30, a cominciare da quello di Alberto Di Pisa, corredato dal parere dei sette giudici del «Consiglio giudiziario», tutti convinti che sia «ad oggi uno dei pochi magistrati in grado di valutare globalmente il fenomeno mafioso fornendo gli opportuni suggerimenti per contrastarlo efficacemente». 
Felice Cavallaro