Priore: dietro quelle dimissioni
il conflitto pm-giudici
da Il Corriere della sera dell'1.11.99
ROMA - «Le dimissioni di Antonio Martone sono il tentativo forte
e leale di far emergere i malesseri profondi che allignano nel corpo della
magistratura». Rosario Priore, il giudice istruttore che recentemente
ha disposto una raffica di rinvii a giudizio per la strage di Ustica, legge
in chiave propositiva la decisione irrevocabile del presidente dell'Anm:
«È il tentativo di far emergere la forzata convivenza tra
due funzioni assolutamente diverse, come quella inquirente e la giudicante.
Già la separazione completa tra queste due entità, non quella
di carriere e di ruoli come vogliono tante proposte chiaramente levantine,
placherebbe in larga parte questa conflittualità, determinata dal
prevalere in ogni nostra istanza dei pubblici ministeri. Cui dovrebbe conseguire
l'operazione di divisione del Csm in due distinti organi di autogestione:
uno per i giudici e uno per i pm».
Martone ha invitato tutti i colleghi a fare una riflessione: «Durante
la lotta al terrorismo, alla mafia e alla corruzione, i magistrati avevano
un seguito popolare. Ora non è più così». Dottor
Priore, condivide?
«Sono sulla stessa linea di Martone. I magistrati non sono più
popolari. Ma questo non sarebbe un gran danno... Quel che è peggio
è che essi stanno perdendo, e quasi in caduta verticale, la stima
della pubblica opinione come istituzione credibile, imparziale, neutrale.
Ormai la maggioranza delle persone si rende conto che non pochi sono stati
mossi da finalità politiche o di fazione. Certo, sono passati i
tempi dei titoli a tutta pagina in cui si invocavano procuratori e sostituti
perché facessero "sognare" la gente...».
Il senatore Cossiga difende l'operato di Martone che ha mosso alcune
critiche all'impianto accusatorio del processo Andreotti: «Difendere
la Procura di Palermo avrebbe assunto il significato ingiustificabile di
condannare i giudici del Tribunale di Palermo». È giusto il
ragionamento di Cossiga?
«Non sta a me confermare o meno giudizi sull'impianto accusatorio
dei processi a carico di Andreotti. Certo, chi conosce gli atti può
anche formulare critiche alle attività delle parti e alle decisioni
dei giudici. Devo però condividere il ragionamento, lineare e non
bizantino come quelli contrari, di Cossiga».
Dietro l'ennesima crisi che scuote il vertice dell'Associazione nazionale
magistrati c'è lo scontro tra i magistrati che continuano a lavorare
in silenzio e quelli che, invece, «pensano spesso a fare politica»
per dirla con le parole di Martone?
«È dai tempi del terrorismo che molti sostengono, anche
gli stessi terroristi, che determinati processi servono come trampolino
per la politica o comunque servono la politica. Il conto è presto
fatto. Basta numerare quelli che hanno fatto fortuna con le inchieste cosiddette
politiche o popolari. Parlamentari e politici in genere, provenienti dalla
magistratura, non sono pochi. Così come è successo in tanti
Csm passati: e il nome costoro se lo sono fatto con i processi e non con
attività di studio. Staremo a vedere alle prossime elezioni. In
effetti, nell'ultima crisi come in altre, affiorano i contorni di un conflitto,
allo stato insopprimibile, tra la quasi totalità dei magistrati
che lavora osservando i principi fondamentali della nostra funzione e coloro
che sgomitano per porsi in prima fila. O addirittura per recitare da prime
donne».
Qual è il futuro dell'Anm? È pensabile che il sindacato
dei magistrati continui a procedere tra i veti incrociati delle varie componenti
invece di puntare tutto sulla difesa dell'autonomia della magistratura?
«È difficile prevedere il futuro dell'Anm. Per superare
i veti incrociati la soluzione migliore appare l'azzeramento delle cariche
e l'indizione di nuove elezioni».
Dino Martirano,
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