Prima
vittima è la bozza Amato ma ogni riforma ora è in stallo
da Il Corriere della sera del 20.4.99
C'è un vincitore della straordinaria partita politica che si
è giocata nella notte tra domenica e lunedì. E' l'attuale
sistema elettorale, quel misto tra maggioritario e proporzionale noto come
Mattarellum. Piace a pochi, ma ormai sembra insostituibile, almeno nel
medio periodo. Del resto, sconfessato il progetto di dare all'Italia un
modello di stampo anglosassone; affossata forse per sempre la via referendaria
alle riforme, quel che rimane è soprattutto ciò che già
esiste. Ragion per cui le opinioni che attraversano nelle ultime ore il
cielo della politica e che parlano di riforma «tedesca» (proporzionale
con soglia di sbarramento al 4 o 5 per cento) o di rilancio del doppio
turno francese, sembrano parte di un gioco politico senza sostanza. Certo,
i proporzionalisti - da Marini a Bertinotti, da Bossi a Manconi - si godono
il loro successo. Ma in Parlamento non s'intravede una maggioranza coerente
in grado di metter mano alla legge elettorale, nemmeno in senso iper-proporzionalista.
In realtà il capitolo è chiuso fino a nuovo ordine. Ciò
significa che tra le vittime del referendum si annovera anche la bozza
Amato-Villone, ossia il tentativo di realizzare un particolare doppio turno
arricchito da un piccolo residuo proporzionale (una sorta di «diritto
di tribuna»). Era l'estremo punto d'equilibrio individuato dal governo
nei mesi scorsi, ma ormai ha perso la sua funzione e la bozza è
respinta un po' da tutti, a cominciare da Berlusconi. Che il presidente
del Consiglio sia obbligato a riproporla, come ha fatto ieri, è
comprensibile. Ma l'ipotesi Amato non è più in grado di risolvere
il rebus.
Così come è dubbio che il problema delle riforme istituzionali
sia prossimo a una svolta positiva. Quando D'Alema assicura che non sarà
lui «a gestire il riflusso», egli sembra rendersi conto della
ristrettezza dei margini: sia all'interno della maggioranza, sia nel rapporto
con le opposizioni. Il «riflusso», ossia la paralisi, è
quindi un rischio reale, a meno che D'Alema - con l'appoggio di Berlusconi
- non riesca a rianimare quella Bicamerale chiusa mesi fa con fragore.
Ed è significativo che uno dei candidati più autorevoli al
Quirinale, il presidente del Senato Mancino, abbia fatto proprio ieri un
appello alle riforme, quasi ponendosi come il «garante» di
un nuovo rapporto tra i due poli.
Ma se la legislatura non riesce a trovare in se stessa sufficiente
fantasia riformatrice, che motivo c'è di tenerla in vita per altri
due anni? Forse, in questo caso, la frase dalemiana sul «riflusso»
va letta come uno spiraglio aperto sulla fine anticipata di una legislatura
che già oggi potrebbe non aver più nulla da dire. A meno
che... a meno che Berlusconi non riesca a portare tutto il Polo non solo
a votare in tempi rapidi il nuovo capo dello Stato (non Scalfaro, che pure
alla Quercia non dispiacerebbe, bensì un Popolare o un centrista),
ma accetti di sottoscrivere con il centro-sinistra un accordo generale.
In primo luogo sulle riforme. E poi persino sul governo nella sfortunata
ipotesi che l'offensiva Nato contro la Serbia si trasformi in guerra terrestre.
Quel che è certo, D'Alema e Berlusconi sembrano avere recuperato
il pieno controllo dei propri schieramenti minacciati dal referendum. Il
premier ieri ha preso di mira Di Pietro, un modo piuttosto evidente per
lanciare un segnale ostile a Prodi, leader dell'Asinello un po' barcollante.
E forse anche per mandare un avvertimento a Veltroni, la cui alleanza con
i prodiani - trasparente fino a domenica sera - ha subito un duro colpo.
Quanto a Berlusconi, egli deve adesso regolare i suoi conti con Fini.
Nessun interesse a spaccare il Polo, è ovvio, ma nemmeno a fare
sconti all'alleato-avversario. Sull'onda referendaria Fini aveva lanciato
la sua sfida alla leadership berlusconiana, magari attraverso l'interposta
persona di Mario Segni. Ora invece tutto è tornato come prima, salvo
la voglia di vendetta. Caparbio, il solo Segni va avanti come se nulla
fosse con il suo Elefante liberaldemocratico. A Marco Pannella «fa
tenerezza». Ad altri ispira rispetto per la coerenza, ma nessuno
oggi è disposto a scommettere sulla crisi di Berlusconi al vertice
del Polo. Almeno fino al voto europeo.
Stefano Folli,
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