Un
verdetto a larga maggioranza
da Il Messaggero del 20.1.99
ROMA - Il primo segnale che sarebbe stata una decisione lampo lo si
è avuto lunedì pomeriggio, quando gli avvocati Beniamino
Caravita di Toritto, Giovanni Motzo e Federico Sorrentino sono stati ascoltati
dai quindici giudici di palazzo della Consulta, presieduti da Renato Granata,
in un’atmosfera distesa di sorrisi e serena.
Gli avvocati hanno percepito immediatamente che il clima dentro la
Corte non risentiva affatto delle dure polemiche politiche che c’erano
state in precedenza. Poi, ieri pomeriggio, sono trapelate le prime avvisaglie
sull’imminente conclusione. E alle 19.45 il presidente Renato Granata ha
dato via libera al comunicato dell’ufficio stampa della Corte con cui si
rendeva noto l’esito.
Ma come si è arrivati al voto? Quello che accade nelle camere
di consiglio della Corte costituzionale viene mantenuto solitamente segreto.
Tuttavia, secondo alcune indiscrezioni, nella prima delle tre sedute di
camera di consiglio, dopo aver congedato i tre avvocati del Comitato promotore
del referendum, il giudice Riccardo Chieppa ha svolto la sua ampia e ben
motivata relazione concludendo per l’ammissibilità del referendum.
C’è stato un primo giro di pareri genericamente positivi, e
soltanto pochi avrebbero espresso perplessità e dubbi. Questo ha
consentito ieri mattina alla ripresa nella seconda seduta di dare un tono
via via più celere alla discussione.
Alla formazione di un’ampia maggioranza avrebbe contribuito la manifestazione
da parte del giudice Gustavo Zagrebelsky, giurista della scuola torinese,
nominato alla Consulta nel ’95 da Scalfaro, di una opinione non contraria
all’ammissibilità del referendum. A sorpresa, secondo alcuni, poiché
il giudice Zagrebelsky veniva indicato nelle ore della vigilia come uno
più determinati alla bocciatura del quesito.
In tal modo si sarebbe sbloccata una opposizione che appariva arroccata
nella difesa della quota proporzionale. Le argomentazioni portate da parte
dei giudici favorevoli e da parte dei contrari sarebbero state tuttavia
di ordine unicamente giuridico. Il quesito è chiaro, univoco e omogeneo.
Rispetta la giurisprudenza della Corte che già nel ’91 stabilì
(col referendum abrogativo della preferenza plurima) l’ammissibilità
dei quesiti parziali. Si può cioè sottoporre a referendum
popolare la cancellazione di parti di legge. E nel bocciare due anni fa
l’ultimo tentativo di referendum la Corte aveva posto un paletto preciso:
la normativa che risulta dall’abrogazione eventuale da parte degli elettori
deve essere autoapplicativa. In materia elettorale, insomma, non è
ammesso che un organo
costituzionale come la Camera dei deputati non possa eleggere anche
soltanto il 25 per cento dei deputati. Stavolta il quesito era stato studiato
in modo da lasciare una norma in grado di distribuire i seggi della quota
proporzionale ai migliori non eletti della stessa circoscrizione. Una normativa
che non piace alla maggioranza dei giudici costituzionali, ma funzionante.
Non si poteva che ammettere il referendum.
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