L’allarme
di Caselli: contro il racket subito la nuova legge
da Il Corriere della sera del 20.1.99
ROMA - I commercianti e gli imprenditori del Sud continuano a pagare
il «pizzo» al racket delle diverse mafie. E il numero delle
denunce presentate a polizia e carabinieri «sta crollando».
L’allarme viene direttamente dalla prima linea dell’antimafia, dal procuratore
della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli. Ieri il magistrato ha partecipato
a un convegno sul Sud organizzato a Roma dalla società di consulenza
«At Kearney». Caselli ha ascoltato molto, sempre assorto, anche
quando il segretario della Cisl Sergio D’Antoni ha definito la mafia «una
banda di scemi». Poi ha parlato cinque minuti, lasciando un segno
pesante: «Nella lotta alla criminalità l’Italia ha fatto molti
passi in avanti. Neanche Falcone e Borsellino hanno potuto lavorare
con la nostra continuità. Ma adesso serve un cambio di mentalità».
Non è solo «una questione di uomini e di mezzi, che pure
sono necessari». Caselli si rivolge direttamente al Parlamento: «Stiamo
registrando un crollo preoccupante delle denunce contro gli estorsori.
Abbiamo difficoltà ad operare con gli strumenti legislativi attuali.
Eppure il rimedio è a portata di mano. Da un anno si sta discutendo
in Parlamento la nuova normativa anti racket, ma ancora non ci sono i segnali
per una rapida approvazione».
Ma da dove nascono le preoccupazioni di Caselli?
La risposta è semplice. La legge anti racket, varata dal Parlamento
nel 1992, pochi mesi dopo l’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi, non
funziona più. Si è inceppato proprio il meccanismo più
delicato, quello del cosiddetto «fondo di solidarietà».
Sulla carta le cose dovrebbero andare così: chi subisce minacce
a scopo di estorsione, entra in un programma di protezione studiato delle
forze dell’ordine, a patto, naturalmente, che denunci gli emissari del
racket. A quel punto lo Stato dovrebbe aprire un ombrello di protezione
a favore del commerciante o dell’imprenditore. Nel concreto: se salta in
aria il negozio, è previsto che il governo intervenga pagando i
danni, attingendo al «fondo di solidarietà» e rimettendo
il titolare nelle condizioni di ricominciare.
Che cosa succede invece? Molti imprenditori, dopo la denuncia, non
hanno avuto né le garanzie e né le protezioni necessarie
per riprendere l’attività. Alcuni sono stati sollecitati a cambiare
città; altri addirittura regione, per motivi di sicurezza. Troppo
difficile e soprattutto troppo costoso, per la maggior parte delle vittime:
tanto vale pagare il pizzo e continuare come prima.
Giuseppe Sarcina,
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