«Sui
pentiti intervenga Ciampi»
da Il Corriere della sera del 20.6.99
ROMA - Il «pasticcio» lo ha fatto tal Salvatore Cancemi
che è un mafiosone di quelli buoni: si fa per dire, era a Capaci
per uccidere Giovanni Falcone. Dopo anni di «lo dico o non lo dico?»,
il mafiosone si presenta in un'aula del tribunale di Caltanissetta e, con
una vocina sottile da femmina, giura che Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri
commissionarono a Riina, detto 'u zu' Totò, le stragi di Capaci
e di via D'Amelio. Detto così, è un'accusa bella forte. Ma
le prove, i riscontri? Nessuna prova, nessun riscontro. «Solo la
logica me lo fa dire», risponde il mafiosone.
Tanto è bastato (e non è poco, per carità) per
far perdere la trebisonda a Ottaviano Del Turco, presidente della commissione
parlamentare antimafia. Che ora annuncia: «E' ora di darci un taglio.
Di questi pentiti non se ne può più».
E che cosa intende fare, presidente?
«Intanto, ho chiesto al ministero dell'Interno di spiegare all'Antimafia
chi è e che cosa fa Salvatore Cancemi. E' libero o in galera? Lo
Stato lo paga? E quanto lo paga? Poi, dopo aver ascoltato il plenum della
mia commissione, chiederò che Violante e Mancino, i presidenti di
Camera e Senato, battano un colpo in difesa del Parlamento che rappresentano.
Non si può andare avanti così».
Così, come?
«Con assassini che, a quattro giorni da un'elezione vinta dal
partito di opposizione, vanno in aula e con i Tg della sera annunciano
al Paese che il capo del maggior partito di opposizione è un tipo
che ha fatto i soldi sistemando il tritolo sotto le auto dei magistrati,
accusando di stragismo quel Silvio Berlusconi che, con Aznar e Kohl, è
alla guida della maggioranza del Parlamento europeo. Oggi capita a Berlusconi
che ha spalle larghe ed eccellenti avvocati per difendersi, ma domani toccherà
ad altri, a quegli altri che oggi sono al governo. Si può andare
avanti così? Si può tenere la politica sotto lo scacco di
uomini che possono vantare soltanto l'abominio di aver ucciso decine di
volte? Le sembra civile, decoroso?».
Non lo è, ma non capisco perché si accanisca contro i
pentiti. Sono i pubblici ministeri a decidere se, come e quando utilizzare
la testimonianza del collaboratore.
«E chi le ha detto che non voglio occuparmi anche di loro? Io
voglio, altroché. Martedì chiederò al plenum dell'Antimafia
di autorizzarmi anche a sollecitare per iscritto un intervento del presidente
della Repubblica come presidente del Csm. Anche Ciampi deve battere il
suo colpo sulle responsabiltà della magistratura».
E quali sarebbero queste responsabilità?
«Se il fenomeno del pentitismo è in crisi di credibilità
lo si deve agli errori tragici dei pubblici ministeri, all'uso maldestro
fattone dai magistrati che hanno invertito l'ordine delle cose».
Quale ordine, quali cose?
«Insomma, i pentiti dovevano: uno, offrire una collaborazione,
chiamiamola così, militare e raccontarci la struttura dell'organizzazione;
due, permetterci di aggredire le fortune economiche della mafia indicandoci
i percorsi utilizzati per il riciclaggio; tre, se avanzava tempo, bisognava
parlare del resto».
Ahi, ahi, perché i rapporti tra Mafia&Politica sono il resto?
«Ho fatto tutte le vaccinazioni e so che Cosa Nostra non è
una banda di criminali comuni proprio perché è in grado di
condizionare la vita politica e amministrativa dei territori che controlla».
E allora perché nell'«ordine delle cose» Mafia&Politica
è al terzo posto?
«Perché se ci si ostina a mettere le mani nel rapporto
Mafia&Politica e solo su quello, senza prove, per sentito dire con
una memoria ritardata e a tempo, si sottrae credito al pentito e, alla
fine, si liquida l'intera esperienza, utilissima e necessaria, del pentitismo.
Gli errori tragici commessi con Brusca e Di Maggio dovrebbero averci insegnato...».
Perché errori tragici? Che dovrebbero insegnarci?
«E me lo chiede? Balduccio Di Maggio collaborava con la procura
di Palermo e alle accuse contro Giulio Andreotti e intanto riorganizzava
la sua cosca a San Giuseppe Iato. Giovanni Brusca tentò di mettere
nei guai Luciano Violante, ricorda? Ne venne fuori un tumulto e finalmente
ora i tribunali cominciano ad avere diffidenza per le dichiarazioni di
un uomo che chiamare pentito è una bestemmia perché ha strangolato
con le sue mani un bambino e ne ha sciolto i resti nell'acido. Tuttavia
quest'assassino, quando vuole, va in un'aula giudiziaria e conquista spazi
televisivi che un leader politico si sogna. E' sufficiente che s'inventi
qualcosa contro un politico di prima fila».
Che vuole dire, presidente?
«Voglio dire che i magistrati, anche se hanno tutti i motivi
per diffidare di alcuni pentiti, mettono da parte ogni dubbio se i pentiti
consegnano loro quel che i magistrati si attendono: i politici. Ecco perché
Violante e Mancino devono muoversi per difendere l'autorevolezza e il prestigio
del Parlamento».
Ma chi vi ha impedito di rivedere le norme sui pentiti finora. Non
c'è una proposta ferma al palo da tre anni?
«E' vero, la proposta di Giorgio Napolitano è del settembre
del 1996 e un nuovo progetto di revisione normativa è del marzo
1997. Da allora queste proposte non hanno fatto un passo in avanti attardate
dalle necessità della riforma del 513, dalle innovazioni per il
giusto processo (parità di accusa e difesa nel processo penale).
Ho sempre sostenuto che mettere subito mano alla revisione delle norme
sui pentiti avrebbe aiutato anche a trovare soluzione per il giusto processo.
In ogni caso, i ritardi del Parlamento non possono giustificare l'aggressione
di assassini al prestigio delle assemblee elettive».
Il prestigio del Parlamento si difende anche rispettandone la dignità
con comportamenti consoni. E' decoroso, come fa Vittorio Sgarbi, accusare
di assassinio Giancarlo Caselli e chiedere di essere protetto dall'immunità
parlamentare? O, come nel caso di Cesare Previti, è dignitoso appellarsi
per quasi un anno agli impegni parlamentari per evitare il giudizio che
lo vede imputato a Milano?
«Vengo da una forza politica che ha fortissimamente voluto e
alla fine conquistato l'immunità parlamentare come istituto a difesa
delle opposizioni. Sono convinto tuttavia che l'immunità non può
essere il salvacondotto per l'impunità né diventare, come
nel caso di Previti, un ulteriore ed eccessivo strumento di difesa. Pena,
l'impoverimento del valore di quella conquista. Tuttavia non si può
confondere alcune dubbie interpretazioni dell'immunità parlamentare
con l'aggressione a cui tutti i parlamentari - oggi Berlusconi e Dell'Utri,
domani chissà - sono esposti se non si pone argine alle dichiarazioni
dei pentiti in aula o in diretta tv. E' ora di prendere il toro per le
corna. E' ora che Violante, Mancino e Ciampi facciano la loro parte. Noi
dell'Antimafia, da parte nostra, faremo la nostra parte e staremo a vedere».
Giuseppe D'Avanzo
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