D’Alema
lancia i 5 saggi per Tangentopoli
da La Stampa del 20.7.98
NAPOLI
DAL NOSTRO INVIATO
Sospendiamo le ostilità, raffreddiamo il clima, prendiamoci
una pausa prima di decidere. Dice D’Alema: “Che i presidenti di Camera
e Senato incarichino cinque saggi di stendere una relazione su cos’è
stata Tangentopoli. Si dice che i giudici non hanno indagato in tutte le
direzioni? Che i cinque si informino, non è difficile, e scrivano
la loro relazione. Noi la leggeremo, la valuteremo e allora decideremo
su cosa deve fare il parlamento sul fenomeno Tangentopoli”. Rinviare il
voto del 23 sulla commissione d’inchiesta. Che vuol dire: riparliamone
a settembre. E’ la giornata delle mani tese per Massimo D’Alema.
All’opposizione (pronti a discutere), ai giudici, al suo partito, all’Ulivo.
Ma sono mani di ferro, nel senso che il segretario riafferma punto per
punto la sua strategia e scaglia addosso a “quelli che si mettono l’elmetto”
quando si parla di Berlusconi un’accusa cara al lessico della sinistra:
“Infantili”. “Mi dicono: te l’avevamo detto che Berlusconi era inaffidabile.
Ma lo sapevo anch’io, se no non mi sarei dato da fare per cacciarlo dal
governo”.
Al leader del Polo D’Alema non risparmia nulla anche perché
la platea del teatro di corte del Palazzo Reale di Napoli glielo chiede
e sottolinea con applausi ogni passaggio: “Berlusconi è l’ostacolo
sulla via di trasformare l’Italia in un Paese normale. E’ l’ultimo erede
di un filone di arroganza, di un’idea dell’illegalità, del sovversivismo
storico delle classi dirigenti italiane che chiedono impunità e
garantismo per se stesse, ma sono forcaiole con la povera gente”. E la
destra? “E’ prigioniera di interessi personali. Fini dice di essere d’accordo
sulla battaglia per la legalità. Poi comincia con la difesa di Berlusconi
e allora la battaglia è già finita”. A Bassolino (e
Veltroni) che reclamano un’iniziativa politica di rilancio dell’Ulivo,
D’Alema risponde sì: “Ho appreso stamani dai giornali di aver ricevuto
uno schiaffo da Bassolino. Siccome non vorrei che lui apprendesse domani
dai giornali di aver ricevuto da me un cazzotto, preciso che sono completamente
d’accordo con lui: c’è bisogno di una forte e comune assunzione
di responsabilità da parte dell’Ulivo. Io non pongo ostacoli, non
cerco solitudine. Voglio che l’Ulivo sviluppi un sentire comune, sul programma,
sulla giustizia. Dev’essere un’alleanza strategica per la transizione del
Paese”.
Ma D’Alema rovescia la questione e riserva una stoccata agli altri
leader dell’Ulivo (Marini, Manconi, Boselli) che sulla questione della
commissione d’inchiesta su Tangentopoli l’hanno lasciato “solo”. E la stoccata
sembra indirizzata anche a Prodi: “Da tempo ho posto un problema di un
coordinamento, sulla giustizia, ma anche sui referendum. Aspetto una convocazione”.
E chi dovrebbe convocare l’Ulivo se non il presidente del Consiglio, suo
leader naturale?
Il segretario dei democratici di sinistra, tuttavia, non ha mai usato
la parola “costituente dell’Ulivo” inventata da Bassolino e rilanciata
da Veltroni. E il sindaco di Napoli, pur usando toni di grande diplomazia
con D’Alema, ha dato però l’impressione di spingersi più
avanti sul “coordinamento”, su un ancoraggio territoriale dell’Ulivo ancorato
ai “sindaci”. La partita è aperta.
Anche sulla commissione per Tangentopoli D’Alema ha rovesciato l’accusa:
“Dovevamo essere noi a proporla: è un’esigenza vera”. Il fenomeno
merita studi e approfondimenti e non può essere affidato soltanto
alle sentenze dei giudici. Per D’Alema il cuore di Tangentopoli non era
il finanziamento illecito ai partiti, ma “un sistema di gestione illecita
del potere, un intreccio tra politica e affari che dice molto della storia
di una classe dominante in una democrazia bloccata. Diverso è il
grado di responsabilità dei partiti: il cuore del sistema era il
potere, compresi settori della magistratura”.
Berlusconi dice che si è trattato di un complotto orchestrato
dalla sinistra contro di lui, che si è indagato solo in una direzione.
“Noi non abbiamo niente da nascondere, il pci-pds è stato sottposto
a decine di inchieste, direi quasi ad un accanimento giudiziario. Ma non
abbiamo mai protestato”. Il fatto è, ha aggiunto D’Alema, che molte
delle inchieste si sono concluse con assoluzioni: Burlando a Genova, il
presidente della regione Toscana, Barbara Pollastrini a Milano. Lo stesso
D’Alema e Occhetto sono sotto inchiesta a Venezia da tre anni: “Sono state
perquisite tutte le nostre sedi, abbiamo aperto i cassetti, dato al magistrato
quel che ci chiedeva. Il sostituto procuratore Nordio ci ha ringraziato
per la disponibilità e io di questo lo ringrazio. Non abbiamo gridato
allo scandalo, non abbiamo protestato. Fosse accaduto a Berlusconi avrebbe
chiesto l’intervento dell’Onu”.
Ai giudici D’Alema ha rammentato di aver “difeso la possibilità
di agire dei magistrati quando la politica era più potente” e di
averlo fatto anche in Bicamerale sull’autogoverno: “Abbiamo tenuto aperto
un varco, impedito colpi di spugna”. I giudici non hanno bisogno di un
partito o dei giornali che li difendano: “Il problema è il funzionamento
delle istituzioni, sono le regole condivise per dividerci meglio sulla
politica quotidiana. Quando abbiamo cercato il dialogo con il Polo, abbiamo
lavorato per noi”.
L’offensiva, anche da sinistra, era contro chi stava in prima linea,
ha detto D’Alema, più che sull’avversario politico. “Recentemente
mi è stata espressa solidarietà. Ringrazio, ma aveva un vago
sapore commemorativo”. E sembrava volesse dire: per un nuovo leader della
Quercia c’è ancora tempo. Applausi.
Cesare Martinetti
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