Soldi
in nero ai partiti, la palla passa a Flick
da La Repubblica del 20.7.98
di LIANA MILELLA
NAPOLI - È quasi alla fine del suo intervento quando Massimo
D’Alema affronta il tema - che è delicatissimo se ne parla il segretario
dei Ds - del finanziamento illecito ai partiti. Una questione calda,
che allontana i Democratici di sinistra dalla magistratura, che li fa guardare
con estremo sospetto, che fa pensare a un cedimento verso Berlusconi. D’Alema
la prende alla larga. La sua idea su come debba essere ridimensionato quel
reato arriva solo dopo un ragionamento complesso. Soprattutto dopo aver
descritto nei dettagli, citando nomi, episodi, accertamenti, quali e quante
siano state le indagini fatte sui finanziamenti al Partito comunista prima
e al Pds poi. Una ricostruzione perfino accorata che mira a dire: eccoci,
noi non abbiamo nulla da temere, siamo stati disponibili e responsabili,
“e quando la Guardia di finanza è arrivata a Botteghe Oscure l’abbiamo
fatta entrare, mentre se fosse successo a Berlusconi lui si sarebbe rivolto
all’Onu”. È da questo D’Alema - che, dunque, si ritiene insospettabile
- che arriva, a bruciapelo, una domanda puntuale: “Ma può il penale
essere l’unico controllo possibile ?”.
Subito dopo giunge la risposta preceduta da un esempio. Dice
D’Alema: “Se un partito piglia 50 miliardi, si deve arrestare forse il
suo tesoriere?”. E ancora argomenta: “In casi del genere vedrei meglio
la decadenza da deputato che un avviso di garanzia che lascia il parlamentare
al suo posto”. Di seguito arriva la proposta. Che è questa: tra
un pubblico ministero che, per accertare il reato del finanziamento illecito,
può agire soltanto se ha a disposizione una notizia criminis e un’”autorità
indipendente con un forte potere di controllo” Massimo D’Alema preferisce
la seconda ipotesi. Affidando magari alla Corte costituzionale, “e non
certo ai prefetti”, una definitiva valutazione e le conseguenti sanzioni.
D’Alema non manca di polemizzare con Franco Ippolito, ex segretario
di Magistratura democratica, che il giorno prima aveva rimbrottato Pietro
Folena per la sua proposta di depenalizzazione. Il responsabile giustizia
diessino - per la verità in sole quattro righe del suo intervento
- aveva detto: proviamo a ipotizzare sanzioni non penali quando il finanziamento
illecito non si risolve in corruzione. E Ippolito gli aveva replicato:
“E chi indagherà allora? E con quali strumenti?”. D’Alema, a sua
volta, aveva criticato Ippolito con un’affermazione drastica : “Chi, se
non il Pds, ha impedito finora che venisse modificato il reato di illecito
finanziamento?”. Nei fatti, con le considerazioni di Folena prima e D’Alema
poi, la questione è posta. Tant’è che ieri sera Pietro Carotti,
responsabile giustizia dei Popolari, plaudiva alle parole del segretario
dei Ds: “L’importante è decriminalizzare. Il come lo si potrà
vedere in un secondo momento”.
Sul piano dei rapporti tra Ds e giudici, la convention di Napoli ha
aperto una porta di dialogo e di attenuazione del muro contro muro, tant’è
che ieri il segretario non ha mai polemizzato duramente contro i magistrati.
Non solo: a Berlusconi che parla di “complotto” tra giudici e comunisti,
D’Alema ha spiegato che semmai s’è trattato di “un incontro e di
una sintonia” con una magistratura che condivideva alcuni valori. Ma, sul
piano tecnico, gli Stati generali della giustizia hanno reintrodotto nel
dibattito normativo la questione delle depenalizzazioni. Al punto che ieri
il vicepresidente del Csm, Carlo Federico Grosso, pur con molti distinguo,
ha spezzato una lancia a favore di una discussione sull’ipotesi di depenalizzare
il falso in bilancio qualora, come dice Folena, questo non sia finalizzato
alla creazione di fondi neri.
Dice Grosso: “Come reato, secondo me, va mantenuto. Capisco però,
e condivido, gli obiettivi e le esigenze politiche. E cioè
tranquillizzare una classe imprenditoriale che vuole essere liberata almeno
dall’accusa di false comunicazioni sociali”. L’argomento è complesso
e Grosso ragiona ancora: “A priori è impossibile distinguere tra
il falso finalizzato alla corruzione e quello che ha altri scopi. Ma dico
che se ne può parlare e agire laddove nel bilancio sono state inserite
valutazioni errate sul valore di un bene oppure è stato commesso
solo uno sbaglio contabile”.
La palla, a questo punto, passa nelle mani del Guardasigilli, Giovanni
Maria Flick, che ieri ha già cominciato a dire: “A questo punto
non appare più rinviabile una riforma del diritto societario ed
economico”. Che Flick, sin da quando era avvocato, fosse contrario all’idea
di depenalizzare, o quanto meno sanzionare in modo differente il falso
in bilancio, è noto. Ma oggi, dopo gli Stati generali e dopo
quanto s’è detto, anche lui vede sulla sua scrivania questa pratica
in bella evidenza. Anche a costo di rendere più difficile il suo
rapporto con i magistrati.
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