Diritti
dell’uomo, la nuova Corte già sommersa dai ricorsi italiani
da Il Sole 24 ore del 20.5.99
Sono trascorsi sei mesi dall’entrata in funzione della "nuova" Corte
europea dei diritti dell’uomo, istituita in forza dell’undicesimo protocollo
di modifica dell’originaria Convenzione: nei suoi quasi cinquant’anni di
vita l’innovazione più radicale, e portatrice di evoluzioni imprevedibili
al momento in cui fu sottoscritta a Roma, nel 1950 (e poi ratificata in
Italia nel 1955), è stata la modifica introdotta dal nono Protocollo
che, dal 1° gennaio 1994, ha consentito l’accesso alla Corte anche
alle persone fisiche, alle organizzazioni non governative e ai gruppi di
privati.
Da quel momento è iniziata l’inarrestabile avanzata delle istanze
provenienti da soggetti italiani, e particolarmente da privati cittadini,
come confermano i dati più recenti in possesso della Corte. Gli
oltre seimila ricorsi pendenti contro l’Italia, giacenti sia presso la
vecchia Commissione (perché già dichiarati ricevibili), sia
presso la vecchia Corte, sia trasferiti, o in fase di trasferimento alla
"nuova" Corte rappresentano una spina per le istituzioni, particolarmente
giudiziarie, del Paese.
L’undicesimo Protocollo, aperto alla firma nel maggio ’94 a Strasburgo
e ratificato dall’Italia nel 1997, ha previsto il graduale esaurimento
della Commissione, ponendo il termine del 31 ottobre 1999, per la trattazione
dei ricorsi già dichiarati ricevibili. Tutti gli altri ricorsi giacenti
presso la Commissione alla data del 1° novembre 1998, sono invece stati
trasferiti alla "nuova" (o "seconda") Corte, divisa in quattro sezioni,
ciascuna con tre Camere, che decide in via giurisdizionale. Le sezioni,
composte totalmente da giuristi di provato valore internazionale, esaminano
le vecchie e le nuove ricevibilità prima con un comitato di tre
giudici, a piena investitura internazionale, poi da sezioni giudicanti
(Chambres) composte da sette giudici.
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo è attuata così
da una struttura permanente a carattere giurisdizionale internazionale,
al posto dei due organi precedenti (la Commissione e la Corte): resta,
a conferma di una prassi politico-giudiziaria ricorrente, ma non paragonabile
a quello della pregressa Commissione, il tentativo di regolamento amichevole
del conflitto denunciato, sul quale viene meno l’intervento politico-procedurale
del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, al quale è solo
attribuito il controllo sulla esecuzione delle decisioni della nuova Corte.
Finalmente una struttura giurisdizionale internazionale integrata,
con previsione anche di un doppio grado in casi circoscritti, assicura
la tutela dei diritti sanzionati dalla Cedu. Le controversie più
ricorrenti, dopo l’affermazione del ricorso delle persone fisiche dal gennaio
1994, hanno messo a dura prova nell’ultimo quinquennio la resistenza della
Commissione e della Corte, investite da un numero imponente di intimazioni
di responsabilità verso lo Stato italiano, fondate soprattutto sulla
irragionevole durata dei procedimenti civili e penali, ma anche sulla iniquità
dei procedimenti (articolo 6 della Convenzione), sulle violazioni di libertà
fondamentali, per varie ipotesi di custodia illegittima o ingiusta (articolo
4), ovvero di coscienza, di espressione e di opinione (articoli da 8 a
11 della Convenzione).
A seguito della sentenza della Corte nel caso Scollo (28 settembre
1995) si è aperta la strada ai ricorsi per ingiusta e irragionevole
durata dei procedimenti civili o penali, anche in corso di causa senza
dover attendere la fine delle vertenze. Sempre più emerge il ruolo
determinante della Corte europea, che interviene sulla responsabilità
derivante da violazione dei principi pattizi, con riflessi sulla giustizia
interna dei singoli Stati, anche sotto il profilo delle legislazioni contrastanti.
Quella di Strasburgo non è giurisdizione distante, ma presente e
rilevante per la giustizia interna.
Possiamo ricordare, oltre al caso Scollo, le numerose decisioni a tutela
del "giusto processo" e contro le ingerenze nella sfera delle libertà
personali, non giustificate o non adeguatamente motivate (sequestri, intercettazioni,
perquisizioni); le severe sanzioni contro la durata ingiustificata e irragionevole
delle procedure giudiziarie e delle pubbliche amministrazioni; ma anche
il riconoscimento della legittimità di una custodia cautelare durata
numerosi anni, in apparente violazione del diritto alla libertà
e alla sicurezza (articolo 5, punto 3), perché ragionevolmente fondata
su motivi sufficienti e pertinenti, e giustificata da un’attività
giudiziaria intensa (caso Contrada c/Italia, sentenza 24 agosto 1998).
Una sensibilità forte è stata manifestata dall’avvocatura
italiana verso la Corte dei diritti di Strasburgo, con dibattiti, richiami
forti e l’avvio di migliaia di ricorsi. Ma tale situazione sembra lasciare
indifferenti Governo e Magistratura, che non hanno ancora posto riparo
al malgoverno della giustizia interna, particolarmente alla durata insopportabile
delle cause e dei processi.
GianAntonioConte
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