Crimini
di guerra, insabbiate 700 inchieste
da Il Messaggero del 20.5.99
di FABIO ISMAN
Il nostro Paese ha voluto lasciare impuniti i crimini di guerra: gli
eccidi di civili, gli assassini e le violenze compiute dai nazisti e dai
militari ”repubblichini” di Salò. Ben 695 fascicoli processuali,
spesso contenenti importanti elementi per identificare i colpevoli, dal
dopoguerra sono stati celati, e assolutamente insabbiati dalla fine degli
anni 50. Tanto che di loro, finché non sono riemersi quattro anni
fa, si erano totalmente perdute le tracce: nemmeno rubricati; chiusi in
un armadio con le ante voltate verso un muro, in uno sgabuzzino protetto
da un cancello, ricavato negli scantinati della Procura generale militare,
a Roma.
Questa storia, gravissima e davvero incredibile, è contenuta
in un rapporto di 28 pagine del Cmm, il Consiglio superiore della Magistratura
militare, che l’ha redatto, ed approvato con pochi voti di maggioranza,
dopo un’accurata indagine. Ne risulta che su 2.274 notizie di crimini di
guerra raccolte dopo il 1945 (al numero 1 della rubrica, l’eccidio delle
Fosse Ardeatine; e al 2.274, dei maltrattamenti attribuiti a un militare
tedesco, Joachim Hagemann), le indagini sono state tempestivamente avviate
solo in una ventina di casi. Altri 260 esposti, per reati non militari,
furono invece trasmessi subito alla magistratura ordinaria; e circa 1.300
alle procure militari, però solo negli anni dal 1965 al ’68. Ma
si trattava, comunque, di atti di cui nessuno comprendeva alcuna indicazione
sugli autori dei reati: quindi destinati, con ogni probabilità,
a diventare materiale per l’archivio. Viceversa, tutti (proprio tutti)
i ”faldoni” che contenevano qualche indicazione sui possibili colpevoli
(talora anche davvero non scarse: frutto d’indagini, perfino interrogatori
svolti da ufficiali alleati addirittura durante la guerra, e mai neppure
tradotti), sono stati puntualmente insabbiati. Messi in un armadio, non
trasmessi alle procure militari, le sole cui spetta l’azione penale; e,
infine, il 14 gennaio 1960, tutti archiviati dall’allora Pg Enrico Santacroce,
perfino con un modulo ciclostilato.
Questi fascicoli sono riemersi, assolutamente per caso, nel ’94. E,
in due anni, inviati a otto Procure militari: che così, con mezzo
secolo di ritardo e quando buona parte dei possibili colpevoli non può
ormai più essere punita, hanno ripreso le indagini; alcuni dei fascicoli
riguardano perfino persone (di solito militari tedeschi) nel frattempo
già processate, sulla base di altri elementi; e, quindi, le ”carte”
finite così a lungo nel dimenticatoio avrebbero ben potuto portare,
a tempo debito, altri elementi all’accusa.
Il documento finale della Magistratura militare ammette che il materiale
ritrovato è parso subito «piuttosto scottante»; che
conteneva «atti d’indagine d’organi di polizia italiani e di commissioni
d’inchiesta anglo-americane sui crimini di guerra»; che si trattava
d’un «contenuto imbarazzante», con «denunce per crimini
di guerra anche di rilevante gravità». Per cui, bisognava
stabilire come si era potuto accumulare; chi e perché l’aveva celato
ed insabbiato; capire come mai era potuta avvenire una «grave e continua
violazione della legalità, con conseguenze ormai irreparabili e
di ampia portata sull’intera giustizia militare nel dopoguerra».
Qui, il discorso si fa davvero delicato. Il Cmm ha indagato anche i
carteggi tra i vari Ministeri; e appurato che queste denunce erano state
raccolte dapprima a Roma perché l’Italia potesse documentare all’Onu
i crimini di guerra commessi sul proprio territorio. Che fino al 1948,
l’assistenza delle «autorità alleate d’occupazione»
era stata tanto valida, da permettere perfino di celebrare alcuni processi
(anche quello Kappler per le Ardeatine); ma che, dopo, questo aiuto era
del tutto cessato. E così, anche in Italia, negli anni della divisione
del mondo in due blocchi, della ”guerra fredda”, era invalsa la «superiore
ragione di Stato».
Infatti, nel 1956, un Procuratore militare chiede che sia estradato
un ex militare tedesco, per crimini di guerra; ma il Ministro degli Esteri
(Gaetano Martino, Pli) scrive a quello della Difesa (Paolo Emilio Taviani,
Dc; presidente del Consiglio, per la prima volta, era Antonio Segni) che
l’iniziativa destava «interrogativi»: Bonn poteva pensare che
l’Italia «alimentasse la polemica sul comportamento del soldato tedesco»,
proprio mentre il governo della Germania federale compiva «il massimo
sforzo», anche per convincere i suoi cittadini, per «la ricostruzione
di quelle Forze armate di cui la Nato reclama con impazienza l’allestimento».
Per cui, nessuna estradizione; processo bloccato. Nello stesso tempo, gli
incartamenti ”innocui”, perché senza indicazioni su possibili colpevoli,
vengono mandati alle Procure. Anzi, su richiesta di Bonn nel 1965, una
ventina di essi («con una documentazione sufficiente sia alla prova
dei fatti che all’identificazione degli autori») viene perfino spedita
in Germania; ma non alle Procure che, in Italia, sono le sole a poter indagare.
Poi, un unico altro documento: la Giustizia militare scrive al Centro Wiesenthal
che su venti nominativi di cui questo chiedeva informazioni, non risultavano
giudizi in corso. E’ l’ultimo atto d’una terribile vicenda.
Le ”carte” insabbiate erano ormai rimaste tanto a lungo in quell’armadio,
che il Pg militare non le avrebbe potute far riemergere senza subire un’inchiesta.
Per cui, archivia, con un provvedimento provvisorio, redatto in serie,
perfino con il ciclostile; anche il registro di quei reati finisce in cantina;
nessuno ne sa più nulla; i successivi Pg militari assolti da ogni
sospetto. Finché, istruendo il processo Priebke, Antonino Intelisano,
il Pm militare di Roma, non ha bisogno di un documento, che non trova da
nessuna parte. Lo chiede alla Procura generale, e un colonnello, che da
venti anni vi lavora, si ricorda di aver visto una volta il famoso armadio.
Lo si rintraccia; il Pg comincia a spedire ai vari Pm militari i famosi
fascicoli. Ma ormai, il fattaccio, e lo scandalo, vengono a galla. Adesso,
mezzo secolo in ritardo, le indagini possono seguire (si dice così,
no?) il loro corso. Gerhard Schreiber, ufficiale della marina tedesca (si
intende del dopoguerra) e storico, ha documentato ben 282 stragi, commesse
in Italia dai soldati del Reich: «Uccisi 580 bambini sotto i 12 anni,
quasi 11 mila militari, un po’ meno di diecimila civili». Molti di
loro, reclamano ancora giustizia; anche nei confronti di chi ha celato
le prime, fondamentali indagini sui colpevoli delle loro morti.
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