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Messina inchiesta sui pm di Catania 'Indagini insabbiate', 'no, tutto lineare'
da Il Giornale di Sicilia del 20.5.99 CATANIA. Troppe archiviazioni, e la Procura di Messina apre un'inchiesta
su alcuni magistrati catanesi. Un 'atto dovuto', legato a numerosissime
denunce inviate negli ultimi anni sempre da una stessa persona, e riguardanti
tutte la gestione dell'Istituto autonomo case popolari da parte dei commissari
ad acta che si sono succeduti dal '95. Lo conferma il procuratore aggiunto
Enzo D'Agata, ammettendo che nei giorni scorsi 'molti fascicoli di questa
Procura sono stati inviati ai colleghi di Messina, che ne hanno fatto richiesta.
E noi siamo stati ben lieti di farlo - ha aggiunto - perché ogni
volta che viene espressa insoddisfazione sull'operato di qualche giudice,
è giusto che il suo lavoro venga sottoposto al giudizio di altri
colleghi...'. Dicendosi abbastanza sereno ('Dire di no sarebbe come ammettere
delle colpe, mentre ho fiducia che la correttezza di questo ufficio emerga
in maniera lampante...'), D'Agata conferma che l'inchiesta - condotta dal
pm messinese Mario Venditti - nasce dagli esposti dell'ex direttore dell'Iacp
etneo, Francesco Messineo (nella foto accanto al titolo). Protagonista
di una vicenda paradossale, che lo ha visto praticamente solo contro tutti,
armato di una penna e di tanta rabbia. Licenziato nel '97 da Valerio Infantino,
Messineo già alcuni anni prima aveva cominciato a inondare gli uffici
della Procura di esposti dettagliati riguardanti il precedente commissario
Iacp, Alessandro Tusa. Poi aveva preparato un dossier allarmato, esponendo
all'allora capo della Procura Gabriele Alicata la 'necessità che
si intervenga con immediatezza prima che venga portato a consumazione il
disegno di 'controllare' appalti per circa 200 miliardi...secondo collaudati
metodi pseudo-mafiosi'. Per queste sue denunce, Messineo non sarebbe mai
stato chiamato in Procura. Mentre i pm ai quali finivano comunque sempre
le sue denunce (assegnate a Marisa Scavo, Luigi Lombardo e Fabio Scavone
dall'allora aggiunto Mario Busacca) hanno sempre finito per archiviarle,
non senza giudizi taglienti su quello che hanno definito 'un grafomane',
accecato dalla rivalità con Tusa e incattivito perché quest'ultimo
gli aveva pure decurtato lo stipendio. Certo, ancora più incattivito
Messineo doveva esserlo contro il successore di Tusa, Infantino. Il quale
appena insediato praticamente lo licenziò. E in fretta e furia preparò
le carte per assegnare l'appalto del Tavoliere, la residenza universitaria
etnea finita prima nel mirino della magistratura palermitana (che nel dicembre
'97 ordinò l'arresto appunto di Infantino, accusato di aver favorito
gli 'interessi mafiosi' dell'impresa Cogeco di Vincenzo Randazzo) e solo
dopo oltre un anno anche di quella catanese, che ha fatto arrestare Infantino
nel blitz del 26 aprile scorso, nato dall'inchiesta di Marino, Ardita e
Lombardo sull'ospedale Garibaldi, che tra gli altri ha coinvolto anche
il sottosegretario Cusumano. Secondo i tre pm, Infantino sarebbe stato
'uomo di Cusumano' e legato a Cosa Nostra. Queste cose l'ex direttore Messineo
le aveva adombrate nell'allarme lanciato a più riprese: probabilmente
era anche incattivito (aveva perso il posto, su due piedi) ma qualcosa
l'aveva azzeccata. I magistrati, dopo l'archiviazione delle sue denunce,
avevano proceduto contro di lui per calunnia: una decina di volte nel giro
di un paio d'anni. Nonostante la commissione regionale antimafia, nel '95,
avesse recepito i sospetti di Messineo, stigmatizzando la logica 'clientelare'
della gestione Tusa. E fossero state presentate all'Ars interrogazioni
sull'operato di Infantino. Un'altra interrogazione la presentarono al Parlamento
Strick Levers e Taradash, nel febbraio '96; chiedevano un'inchiesta per
accertare l'esistenza di 'eventuali aree protette nel Palazzo di giustizia
di Catania'. Patrizia Abbate
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