Cassazione:
non evita l’Albo l’eurolegale con la residenza
da Il Sole 24 ore del 20.3.99
ROMA — La querelle che contrappone l’Ordine degli avvocati a Reinhard
Gebhard ha trovato un punto fermo in Cassazione. A vantaggio del Consiglio
nazionale forense.
L’avvocato Gebhard — o meglio, si dovrebbe più correttamente
utilizzare la denominazione tedesca di Rechtsanwalt — per svolgere l’attività
professionale in Italia ha utilizzato la legge 31/82, attuativa della direttiva
avvocati 77/249. Tuttavia, Gebhard ha violato le previsioni legislative,
secondo cui l’attività forense all’estero deve essere svolta «solo
in forma temporanea e occasionale e senza carattere di continuità»,
con il conseguente divieto all’avvocato comunitario di stabilire la sede
principale o secondaria del proprio studio nel Paese ospitante, senza sottoporsi
alle regole per abilitarsi anche in quel Paese. Il Consiglio nazionale
forense, dunque, giustamente aveva confermato in appello la responsabilità
disciplinare di Gebhard per aver violato le disposizioni di legge sulla
libera prestazione dei servizi.
Così hanno stabilito le sezioni unite della Cassazione, con
la sentenza 146/99 (depositata il 18 marzo). «In Italia, come del
resto negli altri Paesi della Comunità europea, l’esercizio delle
libere professioni — ricostruiscono i giudici — non può essere svolto
da chiunque, ma solo da coloro che presentano particolari requisiti»
(previsti dalla legge e accertati in Italia dall’Ordine) e siano iscritti
all’Albo. Il requisito della cittadinanza, in nome della libera circolazione,
non è ostativo in presenza degli altri "titoli". Ma se l’accesso
a un’attività è subordinato, nello Stato ospitante, a particolari
condizioni, il cittadino di un altro Stato deve soddisfarle. La Ue ha stabilito
i meccanismi per facilitare la libera circolazione: per gli avvocati vale
la direttiva settoriale 77/249, attuata con la legge 31/82, che consente
l’esercizio «delle attività professionali di avvocato, in
sede giudiziale e stragiudiziale, con carattere di temporaneità».
Diverso è il sistema previsto dalla direttiva 89/48, recepita
con il decreto legislativo 115/92, sul riconoscimento dei diplomi. In base
a quest’ultimo meccanismo, i cittadini comunitari laureati in legge in
uno Stato membro possono chiedere il riconoscimento del proprio titolo
in Italia, subordinato al superamento di una prova attitudinale, che si
svolge dinanzi al Consiglio nazionale forense. Con l’esito positivo viene
autorizzata l’iscrizione all’Albo. Non è stata questa la strada
seguita da Gebhard, che ha violato il vincolo dell’attività non
continuativa, posto dall’articolo 12 della legge 31/82.
M.C.D.
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