Toghe e legali, match alla Consulta 

da La  Stampa del 20.5.98

Ma la sentenza sul 513 arriverà soltanto in estate 

 ROMA battaglia in punta di fioretto. Ma è battaglia. La questione dell’articolo 513 del codice di procedura penale (che obbliga i testimoni-imputati al contraddittorio, pena la nullità delle dichiarazioni precedenti) aveva fatto litigare già politici e magistrati. Approda ora alla corte costituzionale. Ieri, per tutto il giorno, nell’aula delle udienze e davanti ai giudici costituzionali in pompa magna, sentita la relazione introduttiva di Guido Neppi Modona, si sono confrontati i pareri favorevoli e contrari. 
Ma la questione, da tecnicissima qual è, ha assunto una sua fisicità nel duello tra il procuratore aggiunto di Torino, Marcello Maddalena, e una dozzina di legali, tra cui Gaetano Pecorella, Vittorio Chiusano e Giuseppe Frigo. Le procure di mezza Italia, infatti, hanno fatto ricorso contro la nuova formulazione del 513. Ben quaranta tribunali si sono rivolti ai giudici costituzionali. Dall’altra, fanno muro gli avvocati a difesa della legge. E anche l’Avvocatura dello Stato - per espressa decisione di Romano Prodi - si oppone al “partito delle procure”.  “E’ una questione di civiltà”, esordisce l’avvocato Pecorella, tanto per far capire che la questione è tra le più delicate. Secondo i legali italiani, infatti, e ieri la camera penale di Roma ha acquistato spazi pubblicitari sui giornali per gridarlo, se si torna indietro sul 513 un’epoca di oscurantismo si abbatterà sui tribunali italiani. “Tanto vale smettiamo di fare gli avvocati”, commenta Chiusano.  Sono così determinati, i penalisti italiani, nel difendere il nuovo 513 perché è accaduto spesso e volentieri, prima della riforma, che fosse sufficiente la chiamata in correità di un altro imputato (o anche un pentito) per ottenere la condanna di molti altri. Oggi non è più possibile. O l’accusatore, che formalmente è un “imputato di reato connesso”, si presenta in aula, ribadisce le sue accuse e si sottopone al controinterrogatorio degli avvocati della difesa oppure non se ne fa niente. Le sue accuse sono carta straccia. “Ecco perché diciamo che è una questione di civiltà. L’occidente crede nel processo dialettico per avvicinarsi alla verità. Niente dialettica, niente verità”, dice Pecorella. Più concreto Chiusano:
“All’inizio, i processi di Tangentopoli si sono fatti solo sulle carte. Alla faccia dell’oralità del processo”. 
Tutto diverso l’approccio di Marcello Maddalena, che per una volta ha indossato la toga a Roma. Non si ricordano, infatti, altri interventi di magistrati davanti alla corte costituzionale per perorare le ragioni di un ricorso. E il fatto è talmente nuovo che l’hanno lasciato parlare “con riserva”. Ma questo sconcerto dei giudici costituzionali e l’irrompere di Maddalena la dicono lunga sul peso della questione.  “Io sono venuto - dice - a spiegare le ragioni del nostro ricorso. Perché la nuova formulazione del 513, secondo me, contraddice almeno una decina di sentenze della corte costituzionale. Il processo, infatti, non serve a stabilire se ha ragione il difensore o il pm, ma, come dovrebbe essere e come la Consulta ha sempre ribadito, serve a cercare di capire comne si sono svolti i fatti. In questo senso, ogni norma che ponga dei vincoli alla scoperta della verità è da eliminare. Ora, lo so bene anch’io che è meglio se la prova nasce dal contraddittorio, ma mi dite perché, se le parti si mettono d’accordo, io posso utilizzare i vecchi verbali e altrimenti no? Oppure perché se il dichiarante nel frattempo muore, i vecchi verbali diventano prova?”. Questi esempi, a suo dire, dimostrano che nell’ordinamento non c’è un “divieto assoluto” di utilizzare certi atti.  Il procuratore aggiunto Maddalena, per meglio spiegarsi, se la cava con una metafora. “Prendete un nuovo farmaco che prima di entrare in commercio deve esere testato in laboratorio. Ebbene, se il chimico fa sciopero, la medicina non può essere venduta. Se invece la macchina di laboratorio si rompe, allora tutto va avanti come se niente fosse”. 
Ma a queste valutazioni scuotono la testa gli avvocati. E mentre la discussione va avanti, e i carabinieri muovono impercettibilmente i loro pennacchi in segno di stanchezza, e il presidente della corte Renato Granata annuiva cortese ad ogni “Eccellenza...” che gli lanciavano gli avvocati, si fanno previsioni sulla decisione.  Sarà sicuramente una sentenza “sofferta”, che vuol dire un paio di mesi o forse più. All’inizio dell’estate la corte costituzionale dirà la sua. 
Francesco Grignetti