Palermo, Musotto punta alla rivincita sulle Procure

da La Repubblica del 20.5.98

di ATTILIO BOLZONI
PALERMO - Sarà anche un tipo affettuoso e gioviale come dicono i suoi amici avvocati, sarà di modi gradevoli e di buona compagnia come raccontano le belle signore della borghesia palermitana che incontra nei salotti, però - quando qualcosa o qualcuno lo rende inquieto - non riesce mai a controllarsi. Proprio mai. Comincia a sudare, serra le mascelle, il collo si irrigidisce e le parole inevitabilmente un attimo dopo gli sfuggono di bocca. Gli è capitato anche l’altro giorno. Era sulle terrazze del Charleston di Mondello, mare profumato, cielo azzurro pastello, colori e luci brillanti di prima estate, una cartolina. Eppure lui - Ciccio - fremeva, si tormentava le mani, si asciugava la fronte, si lisciava nervosamente i baffi. E, incollerito, prometteva minaccioso ai suoi occasionali interlocutori: “Se quello lo incontro e mi provoca, io questa volta giuro che lo prendo a testate”.
E’ fatto così Ciccio, Francesco Musotto, il candidato del Polo alla Provincia di Palermo, buono e caro quanto si vuole ma guai a pestargli i piedi o ricordare appena le “infamità” di quei tredici pentiti e le disgrazie giudiziarie (una condanna a 5 anni e 4 mesi per mafia) dello scapestrato fratello Cesare. E’ in quei momenti che il dottor Jekyll si trasforma in mister Hyde. Buono e caro sì, ma fino a un certo punto. Perché poi Ciccio comincia a sudare. Per la cronaca, “quello” che avrebbe voluto prendere a testate lunedì 18 maggio su per giù verso mezzogiorno, era Pietro Puccio, il presidente uscente, il suo diretto avversario in questa (quasi) tranquilla campagna elettorale palermitana. Di incontrarlo per un duello in tivù Francesco Musotto non ne vuole sapere, dice che “non intende essere calunniato da quello lì”, e intanto aspetta pubbliche scuse che probabilmente non arriveranno mai.  Ci riprova Francesco Musotto detto Ciccio, ci riprova dopo quattro anni, quasi sei mesi di carcerazione preventiva e un’assoluzione fresca fresca dall’accusa di associazione mafiosa. Una volta era l’uomo dei 320 mila voti conquistati alla prima elezione diretta in Sicilia, poi è diventato per i carabinieri l’amico degli amici che nascondeva nelle sue tenute sulle Madonie nientedimeno che il corleonese Leoluca Bagarella, adesso ritorna in scena apparentemente sereno e rassicurato per “riprendere il cammino interrotto” e “recuperare il tempo perduto”. La sua faccia è su tutti i muri di Palermo, una grande scritta spiega che è lui “il Presidente che vuole la gente”. Gira su una Mercedes nera anche per i quartieri più disperati della città. Incontra ex carcerati e nobildonne, ricordi di Ucciardone (“Era uno dello Zen, l’ho riconosciuto, eravamo insieme in galera”) e cocktail nelle splendide ville del Settecento. Promette lavoro. Di giudici e giustizia ne parla quanto basta. Mai direttamente. Il discorso lo prende sempre alla larga. Con molta prudenza.
Il giorno dopo l’assoluzione fu abbracciato da Berlusconi sul palco del forum di Assago al primo congresso di Forza Italia: il Cavaliere presentò al suo popolo la vittima-simbolo dei “procuratori rossi”. Due giorni dopo l’assoluzione Ciccio Musotto disse che non sarebbe più tornato in politica “per paura”, confessò che voleva ritirarsi in campagna, raccontò il sogno di ogni notte: “Quello di avere una Sicilia senza mafia...e quindi senza antimafia”. Tre giorni dopo l’assoluzione era già pronto per lanciarsi nella mischia e per riprendere la poltrona persa per colpa di quei Torquemada della Procura di Caselli. L’”indeciso” Musotto aveva deciso.
Convinto - ora dopo ora e giorno dopo giorno - dalle
implorazioni dell’amico Gianfranco Miccichè che è il
coordinatore siciliano di Forza Italia, dalle preghiere di quelli di An, dalle insistenze di quei vecchi compagni socialisti tutti rigorosamente riciclati nella destra e che - nella buona e nella cattiva sorte - non l’hanno mai abbandonato. A scanso di equivoci, ha detto subito Ciccio Musotto a Palermo e ai palermitani: “Ebbene sì, mi candido, ma non sarò né clava né ariete...”. Qualcuno non gli ha creduto.
La politica è sempre stato un chiodo fisso per lui. Una passione ereditata. Quella dei Musotto è una piccola grande Dynasty siciliana. Borghesia agraria, feudi e masserie tra il mare di Cefalù e i boschi di Pollina, una famiglia importante.  Suo nonno - naturalmente si chiamava anche lui Francesco e anche lui faceva l’avvvocato - era stato un gran soldato al fronte (prima guerra mondiale) e nel ‘24 fu eletto deputato nel listone del partito fascista. Dopo il delitto Matteotti, il nonno prese le distanze da Mussolini e perse il seggio. Nel primo dopoguerra divenne - grazie a quel gesto - Alto Commissario per la Sicilia. Suo padre Giovanni era il titolare della cattedra di Diritto penale dell’Università di Palermo, amico dell’ex leader del Psi Francesco De Martino, fu eletto in Parlamento per due legislature. Poi è arrivato il turno di Francesco junior.
Studi dai gesuiti al Gonzaga, naturalmente laurea in
Giurisprudenza, le prime competizioni elettorali. E’ nel Psi ed
è vicino al vecchio Totò Lauricella, uno dei “grandi vecchi”
siciliani. Primo dei non eletti nel 1981 al Parlamento
regionale, altra trombatura nel 1986. Non ha fortuna
Francesco Musotto al suo esordio in politica.
Fa l’avvocato. Negli Anni ‘70 difende per Soccorso Rosso brigatisti ed estremisti di sinistra, molti suoi coetanei ricordano ancora le sue appassionate (e gratuite) arringhe per i compagni arrestati per un po’ di “fumo”. Negli Anni ‘80 arrivano nel suo studio i primi clienti importanti. Negli Anni ‘90 difende un pezzo di Cupola. Cambiano i clienti. Cambia Palermo. Cambia anche il suo destino di uomo politico. Dopo le delusioni di dieci anni prima c’è l’incontro- folgorazione con Forza Italia. Arriva lo straordinario successo elettorale del ‘95, poi cominciano le prime chiacchiere sulle sue pericolose frequentazioni, il tam tam sul suo arresto, la più annunciata cattura mai avvenuta a Palermo. E poi le polemiche e i veleni.  L’assoluzione. Gli attacchi alla Procura “eccellente”. E Silvio Berlusconi che vuole ancora lui, che vuole il ritorno di Ciccio.