Duro intervento del Pm Maddalena - La sentenza a metà
giugno
Consulta,
è scontro sul 513
da Il Sole 24 ore del 10.5.98
ROMA — Parla per una buona mezz’ora il Procuratore aggiunto di Torino,
Marcello Maddalena, per dimostrare alla Corte costituzionale le «conseguenze
aberranti» del nuovo articolo 513 del Codice di procedura penale,
riformato ad agosto dell’anno scorso. E alla fine fa un esempio:
«Tizio è un pentito che accusa Caio e Sempronio di concorso
in corruzione. A un certo punto esce dal processo col patteggiamento e
i procedimenti di Caio e di Sempronio si separano. Chiamato a confermare
in dibattimento le precedenti accuse contro Caio, Tizio si avvale della
facoltà di non rispondere. Prima di potersi presentare nel giudizio
contro Sempronio, invece, muore. Ebbene, in questo secondo caso, le precedenti
dichiarazioni di Tizio sono valide in base all’articolo 512 Cpp, e quindi
Sempronio verrà condannato; nel primo caso, invece, per effetto
dell’articolo 513 Cpp le dichiarazioni di Tizio non sono utilizzabili,
e dunque Caio verrà assolto. Ma che cos’è, questa, se non
una macroscopica violazione del principio di uguaglianza?» chiede
Maddalena alla Corte, mentre l’affollata aula gialla dove si sta svolgendo
l’udienza pubblica sul «513» è tutta un brusio, e a
qualche giudice scappa persino una risatina...Delle due, l’una, incalza
Maddalena (il cui intervento è stato ascoltato dalla Corte con riserva
di decidere, poi, sulla sua ammissibilità): «O è incostituzionale
il 512 o è incostituzionale il 513».
Il Procuratore di Torino è seduto accanto a dodici avvocati
scesi nella capitale per difendere la riforma del ’97, che ha escluso l’utilizzabilità
come prova delle dichiarazioni rese durante le indagini da imputati di
procedimenti connessi i quali, in dibattimento, si avvalgano della facoltà
di non rispondere, sottraendosi così al contraddittorio. Avvocati
del calibro di Vittorio Chiusano, Gaetano Pecorella, Giuseppe Frigo, Delfino
Siracusano, nessuno dei quali risparmierà bordate alla requisitoria
di Maddalena, bollata come «orazione politica». «La verità
è che si vuole eliminare il contraddittorio anche nella fase delle
indagini — attacca Pecorella — e che i Pm vogliono difendere la loro potestà
di formare la prova non solo senza il difensore ma anche senza il giudice.
E poi —aggiunge — non è vero che il 513 non salvaguarda il principio
di conservazione della prova, visto che c’è l’incidente probatorio».
Anche la presidenza del Consiglio, rappresentata dall’Avvocatura dello
Stato, difende a spada tratta la riforma dalle censure che le sono state
mosse da 5 Tribunali e che investono pure le norme transitorie, nonché
gli articoli 210, quarto comma, e 238 Cpp. La discussione della causa dura
tutto il giorno per cui soltanto oggi la Corte si chiuderà in camera
di consiglio per decidere. Ma il verdetto non arriverà prima di
metà giugno. Comunque vada, la pronuncia della Corte rifletterà
una certa «ideologia del processo», per usare le parole di
Frigo, a seconda di come verranno bilanciate l’esigenza di non disperdere
i mezzi di prova raccolti prima del dibattimento con l’esigenza di garantire
il contraddittorio nell’assunzione della prova stessa, senza sacrificare
la ricerca della verità cui è finalizzato il processo. «Siete
di fronte a una scelta tra un sistema autoritario, in cui si utilizzano
prove create nel segreto delle indagini senza contraddittorio — avverte
l’avvocato Umberto Guerini — e un sistema non autoritario in cui l’accertamento
della verità passa per il pieno contraddittorio delle parti».
In precedenza, Maddalena aveva concordato con la necessità di «potenziare
il contraddittorio» purché «si riducano i casi in cui
ci si può sottrarre ad esso. E questo, il nuovo 513 non lo fa».
Di qui la richiesta di obbligare il coimputato a rispondere (correggendo
quindi l’articolo 210) affinché gli altri soggetti del processo
possano interrogarlo sulle accuse da lui formulate. Da ciò deriverebbe
automaticamente l’illegittimità del 513 là dove subordina
al consenso delle parti l’acquisizione delle dichiarazioni di chi si sia
avvalso illegittimamente della facoltà di non rispondere. Al legislatore
il compito di chiudere il cerchio, prevedendo un nuovo reato costituito
dal rifiuto di rispondere o l’equiparazione dell’accusatore al testimone.
Donatella Stasio
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