Scalfaro:
aggredire le istituzioni è eversivo
da Il Corriere della sera del 20.11.98
Marzio Breda,
ROMA - Scuse? Assolutamente nessuna: lo sciopero degli avvocati contro
la Consulta resta un fatto che «per sua natura ha carattere eversivo».
Dimissioni? Meno che mai: «Il capo dello Stato ha giurato fedeltà
alla Costituzione, e fino all’ultimo giorno terrà fede al giuramento
prestato». Dopo due giorni di aspre (e intimidatrici) polemiche,
e di tiepide (e troppo isolate) difese, alla fine il puntiglio e l’istinto
della sfida hanno la meglio su Scalfaro. Che ieri si chiude nel suo studio,
scrive una ventina di righe di appuntita «precisazione» e le
fa diramare dall’ufficio stampa. «Un gesto distensivo e chiarificatore,
per diradare il polverone che è stato sollevato tentando di cancellare
il vero significato dell’intervento di martedì», minimizza
un consigliere del Quirinale. E invece si può indovinare parecchio
di più, dentro quel testo: una rabbia orgogliosa unita alla recriminazione
per un certo isolamento politico.
Umori trasparenti, basta leggere. Fin dal primo capoverso, la replica
esclude il minimo passo indietro. La sostanza della scomunica all’avvocatura
che blocca i processi («peggio che andare in piazza armati»,
ricordate?), resta. «Non ho mai condannato lo sciopero in quanto
tale, il cui diritto votai nella Carta Costituzionale», esordisce
il presidente, nell’interpretazione autentica. «Ho condannato lo
sciopero diretto contro il supremo organo di garanzia costituzionale,
come fatto che, per sua natura, ha carattere eversivo». Ancora,
e sempre esprimendosi in prima persona, fatto rarissimo nei comunicati
ufficiali del Colle: «Non ho mai detto che una sentenza - anche della
Corte Costituzionale - non sia criticabile; anzi, ho detto esattamente
il contrario, ma l’aggressione all’organo giudicante non è una modalità
di critica accettabile».
Scalfaro, insomma, insiste nel qualificare alla stregua di un’«aggressione»
la protesta delle Camere Penali. E però contesta, dichiarandosene
«fortemente preoccupato», un travisamento in chiave «corporativa»
del suo discorso. Del quale sarebbe stato rilevato «solo un
attacco ingiusto agli avvocati», e non sarebbe stato invece colta
«la denunzia del grave pericolo che corrono le istituzioni se il
mondo politico non ne difende la dignità, rispettandone la precipua
funzione costituzionale».
Ecco il passaggio che tradisce risentimento e solitudine. Infatti,
sarà un caso, ma stavolta il capo dello Stato non è stato
riparato dall’ombrello istituzionale che si è sempre aperto, in
passato, a sua copertura. I presidenti di Camera e Senato hanno taciuto.
E lo stesso ha fatto Palazzo Chigi. Mentre le sparse voci a tutela echeggiate
dalla maggioranza, sono sembrate sbrigative e imbarazzate. Il che, appunto,
spiega l’allarme per i rischi che si corrono «se il mondo politico
non difende le istituzioni». Ciò che vale, par di capire,
certamente per la Corte Costituzionale, ma anche e soprattutto per il Quirinale.
«Per la difesa dei diritti, in regime democratico, vi sono tutte
le porte aperte, tranne l’offesa, l’aggressione, il disprezzo delle istituzioni»,
conclude Scalfaro. Tenace nell’amarezza come nella censura.
Ma i penalisti non demordono. «Noi non abbiamo aggredito nessuno,
neppure a parole», replica aspro il presidente dell’Unione Camere
penali, Giuseppe Frigo. E il suo collega Oreste Flamminii Minuto scrive
a Violante e rassegna le dimissioni da giudice costituzionale aggregato.
E non sono solo loro a reagire con durezza. Centotrenta parlamentari del
Polo (ci sono adesioni anche di alcuni leghisti) hanno sottoscritto un
documento contro il Presidente. Tale documento
però non reca in calce la firma di Silvio Berlusconi: «Con
questa forma di protesta non si raggiungerà alcun risultato».
Il leader di An, Gianfranco Fini ritiene che «il numero della firme
aumenterà» e aggiunge: «Non ho bisogno di firmare...».
Per il presidente di Alleanza nazionale la nota del Quirinale denota
«l’imbarazzo in cui si trova la Presidenza dopo la levata di scudi
degli avvocati».
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