Scalfaro: contro la Consulta non si sciopera

da Il Messaggero del 20.11.98

ROMA Lascia o raddoppia? Raddoppia. Oscar Luigi Scalfaro non s’è fatto impressionare né dalle accuse degli avvocati né da quelle del Polo. Dimettersi? Non ci pensa nemmeno. Replica invece come raramente ha fatto durante il suo settennato: invece di girarsi dall’altra parte, muto, stavolta ha puntualizzato la sua posizione con un comunicato ufficiale. In cui dice di rispettare il diritto di sciopero, ma non quello contro la Corte Costituzionale, che resta «eversivo». L’aggressione alla Consulta non è una semplice critica, è «inaccettabile». E ancora: il mondo politico (cioé il Polo) è «corporativo» e non difende le istituzioni. Il capo dello Stato invece, «fino all’ultimo giorno», difenderà la Costituzione.
Ventidue righe puntigliose, quelle del presidente della Repubblica. Che tengono poco conto della lenta retromarcia innestata dagli avvocati. Forse perché il Polo ha continuato a sparare le sue cannonate, a raccogliere firme contro il Quirinale (quasi 130), a dimostrare al Colle tutta l’antipatia che l’opposizione ha per Scalfaro. Lui ha dedicato ai suoi critici sette righe secche: «Sono fortemente preoccupato per l’interpretazione corporativa che viene data al mio intervento, rilevandovi solo un attacco ingiusto agli avvocati, con i quali anzi ho sempre avuto un rapporto molto positivo, e non cogliendovi, invece, la denunzia del grave pericolo che corrono le istituzioni, se il mondo politico non ne difende la dignità, rispettandone la precipua funzione costituzionale». «No all’offesa, all’aggressione, al disprezzo delle istituzioni».
Dopo il comunicato di precisazione tra i partiti non è cambiato molto, rispetto al giorno precedente. Il centro destra continua a martellare («la toppa è peggiore del buco»), mentre i due leader del Polo, Berlusconi e Fini, si distinguono dall’utopia della truppa evitando di firmare per le dimissioni del capo dello Stato. «La firma su quel documento non l’ho messa precisa il Cavaliere e non ho inteso metterla perchè su un argomento come questo si devono fare delle cose che arrivino ad un risultato, mentre con questa forma di protesta non si raggiungerà alcun risultato. E comunque per carità di patria è meglio sorvolare su questo argomento». «Ho trovato la nota del presidente della Repubblica - incalza il presidente di An - dimostrativa dell’imbarazzo in cui si trova, dopo la sacrosanta levata di scudi degli avvocati e le altrettanto giuste critiche politiche che, in molti, hanno mosso al Capo dello Stato per una dichiarazione che era certamente sopra le righe. E quando dico molti non mi riferisco soltanto ai parlamentari del Polo, ma anche a presidenti emeriti della Corte costituzionale». Non serve raccontare altro per capire come il Polo sia lontano dal Colle.
Il centro sinistra, invece, cerca di spostare il confronto sulle cose, cioé sulla riforma della Giustizia. Solo la Salvato continua a pizzicare il Quirinale. Gli altri fanno i pompieri, Bertinotti compreso: «Raggelate i toni, facendo tutti un passo indietro». La partita è grossa, i ds sono preoccupati. I due capigruppo Mussi e Salvi intervengono. Dice quest’ultimo, che non ha gradito l’intervento sul 513 dei supremi giudici costituzionali: «Mi auguro che la nota del Quirinale ponga fine ad una polemica che non aiuta la causa della giustizia. Bisogna ora tornare alla sostanza del problema che è quella di un sollecito intervento legislativo per mettere riparo alle disparità fra accusa e difesa esistenti nel nostro sistema penale e aggravate dalla recente sentenza della Consulta