Bufera su Almerighi, dimissioni lampo  

da La Stampa del 20.10.98 

ROMA. Presidente dell’Associazione magistrati per meno di 48 ore: un record che sarà difficile battere. Sabato sera Mario Almerighi è stato eletto alla guida del “sindacato dei giudici”; domenica ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera (che lui smentisce, ma che il quotidiano conferma) nella quale sbarrava la strada a questo o quell’ipotetico ministro della Giustizia; e ieri s’è dovuto dimettere.  Riproponendo, tra l’altro, la “questione giustizia” nelle complicate trattative per la formazione del governo, che fino a ieri era rimasta in disparte.  Prima di rinunciare al mandato Mario Almerighi - 59 anni, magistrato di lungo corso, da sempre impegnato nell’Associazione, ex consigliere del Csm - ha negato di aver mai voluto porre veti alla scelta del nuovo ministro: “Il contenuto dell’intervista non corrisponde al mio pensiero. E’ persino ovvio che il presidente dell’Anm non voglia e non possa in alcun modo interferire sulla nomina del Guardasigilli... Mai e poi mai mi sarei permesso di fare considerazioni quali quelle riportate nell’articolo”. 
Ma le parole di Almerighi erano lì, stampate sul giornale: “Non posso dire o Flick o morte... ma se ci mettono qualche infiltrato del Polo nel partito popolare...  Tutto lo staff del ministero è pronto a dimettersi”, in aggiunta a giudizi poco lusinghieri su due nomi indicati dal toto-ministri di questi giorni, il diessino Cesare Salvi e il popolare Ortensio Zecchino. 
Nonostante la smentita, intervista o chiacchierata informale che fosse, nessuno ieri mattina ha dubitato che Almerighi abbia pronunciato quelle frasi. Nemmeno tra i magistrati che gli sono amici. Di qui le immediate prese di distanza della giunta esecutiva dell’Anm, del vicepresidente Castellano e del segretario Giordano, di uno dei giudici che lavorano al ministero, Stefano Racheli, che è pure segretario dei “verdi”, la corrente di Almerighi: “Noi siamo al servizio delle istituzioni, il presidente dell’Anm non può pretendere di parlare a loro nome o di influenzare le nostre determinazioni”. 
Un putiferio di reazioni nel mondo politico - compatto a rivendicare la propria autonomia, con l’avallo del presidente del Senato, Nicola Mancino, secondo il quale Almerighi “ha cominciato male” - ha reso la situazione insostenibile, e nel giro di poche ore il leader proclamato da meno di due giorni s’è dovuto arrendere, accogliendo l’invito che gli veniva da quasi tutte le componenti dell’Associazione. “La pubblicazione dell’intervista da me peraltro smentita - comunica Almerighi nel primo pomeriggio - rischia di creare imbarazzo all’Anm e di prestarsi a ingiustificate strumentalizzazioni; per evitare questi rischi offro all’Anm le mie dimissioni”. 
Domani la giunta esecutiva dell’Associazione discuterà sul da farsi. Le dimissioni potrebbero essere anche respinte o congelate, ma già circola il nome del possibile successore di Almerighi: Ciro Riviezzo, anche lui dei “verdi”. Questa situazione riapre giochi più ampi dentro il sindacato dei giudici, e se la sinistra di Magistratura democratica potrebbe tentare di lasciare il neopresidente al suo posto, la corrente maggioritaria di Unicost (da cui i “verdi” si scissero alcuni anni fa) non sembra intenzionata a fargliela passare liscia. 
Certo è che all’ultimo piano del “palazzaccio” di piazza Cavour, sede dell’Anm, si respira un’aria da funerale. “Era difficile fare più danni, contemporaneamente, con una sola intervista”, commenta amaro uno dei membri della giunta. Perché in ogni caso quelle due colonne di giornale hanno “bruciato” Almerighi, messo in seria difficoltà l’intero vertice dell’Anm e i magistrati che lavorano al ministero, pregiudicato i futuri rapporti tra giudici e politici. Oltre a rilanciare - non fosse altro che per dimostrare che non si accettano diktat dai giudici - le candidature a Guardasigilli di Zecchino e di Salvi. 
I popolari hanno immediatamente fatto quadrato intorno al loro senatore, ma nella scacchiera che sta disegnando D’Alema il ministero della Giustizia tocca a un esponente dei ds. La scelta è nelle mani di Cesare Salvi, capogruppo al Senato: se vuole va lui, altrimenti un altro da scegliere nell’area della Quercia. “Cesare, hai letto il Corriere ? Adesso devi fare il ministro per forza”, scherzava ieri un suo amico, ma Salvi ha risposto serio: “Non sono cose che si possono decidere per un’intervista di Almerighi”. 
Fino a poche ore fa il presidente dei senatori Ds non aveva ancora deciso di abbandonare quel posto per la poltrona di via Arenula. E il caso Almerighi riapre l’annosa “questione giustizia”. Le preoccupazioni espresse dal presidente dimissionario dell’Anm, al di là delle smentite, sono reali e comuni a tutta la magistratura associata: il timore di una “normalizzazione” che punti a legare le mani ai giudici, già paventato davanti alle riforme in tema di giustizia sulle quali s’è infranta la Bicamerale. Ora nella maggioranza entra l’Udr di Francesco Cossiga, che ha sempre avuto rapporti tesi con le “toghe”. Che farà, in tema di giustizia, il governo guidato da D’Alema? 
Giovanni Bianconi