Almerighi, censurato, si dimette 

da Libertà del 20.10.98 

Milano. Francesco Saverio Borrelli aveva finito da non molto di indicare in Giovanni Maria Flick il ministro adatto per portare avanti le riforme sulla giustizia, assestandosi su quelle che erano state le (presunte) dichiarazioni di Mario Almerighi al “Corriere della Sera”, che il neopresidente dell’Associazione nazionale magistrati si è dimesso. «La pubblicazione dell’intervista - ha detto Almerighi - da me peraltro già smentita (non dal quotidiano, ndr), rischia di creare imbarazzo all’Anm e prestarsi a ingiustificate strumentalizzazioni. Per questo motivo, per evitare questi rischi offro all’Anm le mie dimissioni». Un sostegno a Flick da cui la giunta esecutiva centrale dell’Associazione ha preso subito le distanze: «Le dichiarazioni attribuite al presidente, così come riportate dal “Corriere”, non rappresentano, per il metodo e il contenuto, la linea dell’Anm che non è mai intervenuta e non intende intervenire nella valutazione delle persone che rappresentano le istituzioni e tantomeno nella composizione del futuro governo». E una censura è giunta anche dall’organismo unitario degli avvocati italiani: «Alcuni settori della magistratura non vogliono rendersi conto che, sulle elezioni prossime o future del parlamento o del governo, di qualsiasi governo, non possono intervenire».  Contemporaneamente Tiziana Maiolo di Forza Italia ha annunciato di aver denunciato a Perugia lo stesso Almerighi «per istigazione a disobbedire alle leggi dello Stato», in quanto avrebbe minacciato le dimissioni dell’intero “staff del ministero” qualora non venisse nominato un ministro di Giustizia gradito all’Anm. Un colpo di scena, quello delle dimissioni di Almerighi, giunto proprio mentre il procuratore capo di Milano, parlando all’università Bocconi per l’inaugurazione dell’anno accademico, andava idealmente a collegarsi con l’intervista di Almerighi, “proposta Flick” su tutto. Nel «rapporto con il mondo politico» il leader dell’Anm avrebbe individuato il primo problema della magistratura e il tasto delle riforme è stato proprio il primo punto toccato anche da Borrelli, rispondendo alle domande su quello che si attende dal prossimo governo. «La giustizia ha bisogno di coraggio nelle riforme che la attendono e ha bisogno, se vogliamo, di immaginazione, senso pratico e semplificazione di procedure e strutture», ha spiegato il procuratore della Repubblica. Non ha, comunque, voluto fare una lista di priorità in tema giustizia che il nuovo esecutivo dovrebbe, a sua detta, seguire: «Vi sembra corretto che io partecipi alla formazione del governo?». Forse una “partecipazione nella formazione” no, ma sicuramente qualche suggerimento da dare a D’Alema - o chi per lui - Borrelli se lo è lasciato fuggire: «Da questo o da qualunque altro governo mi attendo che i problemi della giustizia vengano analizzati e risolti con spirito molto pragmatico». In primo luogo, «una semplificazione» delle procedure. Ma lo spunto principale, anticipato con quella battuta sulla “amicizia e stima” - contro gli “screzi” invece avuti con i polisti Alfredo Biondi e Filippo Mancuso -, Borrelli se lo è riservato per il termine della cerimonia, quando viene circondato da microfoni e telecamere. Proprio come Almerighi, il procuratore di Milano vede nel ministro Flick la persona più adatta per poter proseguire, alla guida del dicastero di Grazia e giustizia, nelle riforme avviate in questi anni, «ma questo non significa assolutamente nulla». E ha aggiunto: «Ci può essere rammarico che questo lavoro che aveva avviato Flick rischi di rimanere incompiuto o di subire delle svolte o addirittura dei rimaneggiamenti o un ripensamento da parte di altri. Le riforme della giustizia devono collocarsi in tempi lunghi. Non possiamo illuderci di risolvere da un giorno all’altro i problemi. Certo è che una instabilità politica e un frequente mutamento dei titolari del dicastero, forse non giova alla risoluzione di questi problemi che sono tanti». Eppure, nonostante l’amicizia con Flick, Borrelli non perde l’occasione di togliersi un sassolino dalla scarpa. E’ ancora il caso Davigo, sotto inchiesta per l’intervista ad “America Oggi”, a tenere banco: «Lo ho difeso perchè reputo un punto di estrema importanza da chiarire, anche nella giurisprudenza e nell’interpretazione dei principi vigenti, la libertà di parola, la libertà di pensiero del magistrato» che, non su specifici provvedimenti, ma su «argomenti di carattere più generale» deve essere uguale a quella «che compete a ogni cittadino». 
Marco Ronchetto