Pentiti, 700 uomini per la protezione
da Il Mattino del 20.10.99
DALL’INVIATO A ROMA
GIGI DI FIORE
La parola d’ordine è «mimetizzazione». Una formula
che significa, nella pratica, collaboratori di giustizia confusi, con le
loro famiglie, tra la gente comune. È questo il primo obiettivo
che il Servizio centrale di protezione si prefigge, quando prende in consegna
un pentito. Ed è naturale che, in quest’ottica, anche i poliziotti
di scorta devono sembrare persone di passaggio. Mai dare nell’occhio, insomma,
per non turbare i sonni e insospettire gli abitanti delle località
prescelte (centri, in gran parte piccoli, del Centro-nord) per trasferirvi
i pentiti.
Sono circa 700 gli addetti al Servizio centrale di protezione. La metà
lavora a Roma, nella palazzina di sei piani dove si coordina tutta l’attività
di sorveglianza e assistenza dei collaboratori di giustizia e dei loro
familiari. L’altra metà è disseminata nelle strutture decentrate:
i cosìddetti Nop (nuclei operativi di protezione). Sono proprio
i Nop, nelle rispettive aree di competenza, che fanno da filtro e sono
informati dei problemi quotidiani delle persone prese sotto tutela.
Dalle lamentele che di solito arrivano agli uffici, sembra di assistere
alla lista della lavandaia. Quasi sempre dai pentiti e dalle loro famiglie
partono richieste supplementari di denaro, lamentele sulle condizioni degli
alloggi ricevuti, segnalazioni su mobili danneggiati, scuole troppo lontane,
difficoltà condominiali. Parva materia, roba terra terra che, però,
per chi è stato stradicato da abitudini, seppure delinquenziali,
e abituali insediamenti sociali diventano una valanga quotidiana capace
di travolgere e rendere ancor più gravosa la difficile scelta di
cambiare vita.
A subire i maggiori tracolli psicologici dei mutamenti, di solito,
sono le famiglie. Soprattutto i figli minorenni. A volte - c’è anche
questo nella casistica, tutta informatizzata, del Servizio centrale - mogli
e figli ingnorano che il marito e il genitore abbia compiuto efferati crimini.
Il mutamento di abitudini diventa, così, doppiamente traumatico.
È per questo che il Servizio centrale si è dotato di uno
staff medico, per i controlli sanitari, ma anche per le verifiche psicologiche
degli assistiti. Gestione burocratica, che non tiene conto delle differenti
carriere criminali o della qualità delle dichiarazioni del collaboratore?
«Ci siamo dati un libro delle regole che considera i collaboratori
per noi tutti uguali - spiega Francesco Cirillo, direttore del Servizio
centrale - Abbiamo parametri numerici per l’assegnazione degli alloggi
e siamo all’oscuro di cosa ognuno di loro dichiari all’Autorità
giudiziaria. Ignoriamo, insomma, i verbali raccolti dai magistrati. Per
noi, nel rispetto della legge, i collaboratori presi a carico sono tutti
uguali».
L’assistenza logistica e quotidiana, naturalmente, viene assicurata
solo ai collaboratori in libertà. Mentre 80 dei 186 pentiti campani
sono detenuti nelle dieci strutture carcerarie previste per chi fa rivelazioni
agli inquirenti. Ma come vengono impiegati, in percentuale, i circa 31
miliardi (sui 142 totali) spesi per i collaboratori di giustizia campani
e i loro 1175 familiari? Il calcolo è presto detto, ufficializzato,
così come gli altri dati, nell’ultima relazione ministeriale al
Parlamento: il maggior importo (48,10 per cento) se ne va per l’assistenza
legale (i penalisti, che li difendono per i reati pregressi); il 20,09
per cento per il fitto delle case; il 18,15 per cento per il contributo
mensile (due milioni in media a testa). Altre voci sono gli importi per
gli alberghi (dove i pentiti vengono ospitati in transito), le riparazioni
per danni agli appartamenti (1,72 per cento), i trasferimenti, le spese
mediche (appena, però, lo 0,20 per cento).
Problemi diversi vengono affrontati per i circa 420 minorenni campani,
imparentati con i pentiti e presi in assistenza dal Servizio centrale.
Sono in prevalenza di età compresa tra i sei e i quattordici anni.
Ad iscriverli a scuola, contribuendo anche in parte all’acquisto dei libri,
ci pensa il Servizio centrale. E, in questo contesto, fa certamente ben
sperare il dato nazionale dei 44 giovani, parenti di pentiti, iscritti
all’Università. Tra loro, il Servizio centrale spera sempre di poter
festeggiare la prima laurea.
(2-Fine. La precedente puntata è stata pubblicata venerdì)
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