La commissione riscrive il Ddl Il «ladro pentito» nel pacchetto per la criminalità 

da Il Sole 24 ore del 20.10.99

I toni polemici con i quali si sta finalmente dibattendo la "questione sicurezza", non inducono a sperare che saranno poi trovate soluzioni efficaci, anche perché si tende a mettere molta carne al fuoco e con ciò si distoglie l’attenzione da alcuni punti fondamentali.

Un primo punto fondamentale è costituito dal coordinamento tra le forze di polizia. L’Italia è l’unico Paese al mondo ad avere due distinte organizzazioni di polizia giudiziaria (Carabinieri e Polizia di Stato), alle quali, negli ultimi anni, se ne è aggiunta una terza (Guardia di Finanza), in buona misura "dirottata" sugli stessi binari, a detrimento della sua fondamentale e non sostituibile funzione di polizia tributaria. Essendo improponibile, almeno in questo momento, una unificazione delle tre organizzazioni, occorrerebbe adoperarsi, quanto meno, per un loro coordinamento.

Ci aveva pensato Giorgio Napolitano, quand’era ministro dell’Interno, nominando una commissione di studio che aveva affrontato organicamente il problema, giungendo anche a proporre l’adeguamento di alcune norme del Codice di procedura penale per restituire una maggiore autonomia alla polizia giudiziaria. Ma i risultati dei lavori di questa commissione sono diventati un oggetto misterioso.

Un altro punto fondamentale è costituito dai rapporti tra polizia giudiziaria, unitariamente considerata, e ufficio del Pubblico ministero. Non sarà certamente un caso che la letteratura "gialla" di tutto il mondo vede in primo piano "detectives" pubblici o privati. Infatti, non occorre aver frequentato la scuola di guerra per sapere che chi sta in prima linea spesso si brucia e deve essere sorretto dalle seconde schiere. Il magistrato, in tutti i romanzi, sta nell’ombra, sorveglia, controlla, indirizza, quando necessario corregge, ma non toglie autonomia al "detective" che può spaziare nelle indagini secondo le proprie capacità ed esperienze.

Tutto il contrario di quanto, da parecchi anni in qua, avviene in Italia, dove anche le conferenze stampa sui risultati raggiunti vengono tenute dal magistrato. Questa confusione di ruoli non ha giovato alla giustizia, perché la polizia giudiziaria ha attutito le proprie capacità di agire d’iniziativa. A tutto ciò si aggiunga che, non di rado, alcuni pubblici ministeri investono due o anche tre organi di polizia per le stesse indagini, allo scopo, secondo loro, di creare un "confronto" di risultati. Se poi si considera che, spesso, a dirigere l’orchestra sono giovani che hanno dalla loro solo il superamento di un esame di concorso, per quanto difficile esso possa essere, ben si comprende come la mortificazione dei "detectives" di professione abbia sufficienti motivazioni.

Se questi fatti, obiettivamente riscontrabili, vengono poi esaminati sul quadro generale di fondo (carenza generalizzata di mezzi, conflittualità interna delle istituzioni interessate, dispersioni eccessive di personale in compiti non professionali eccetera) si capisce per quali vie perverse si è attutita enormemente la credibilità dello Stato. E questo problema oramai investe tutti, magistrati e poliziotti, per non parlare, ovviamente, della classe politica. Quando l’Istat, nella «Situazione del Paese del 1998», è costretta a registrare che oltre il 42% dei cittadini ritiene che le forze dell’ordine controllino poco o niente il territorio in cui vivono oppure che solo il 19% denunzia furti esterni all’abitazione anche perché «la polizia comunque non avrebbe fatto niente», si è in presenza di inequivocabili campanelli d’allarme anche perché il territorio dal quale lo Stato si ritira viene immediatamente occupato dalle forze criminali.

Giuseppe Giuliani