Avvocati in rivolta per gli spot in toga 

da La Repubblica del 20.10.99

ROMA (d.m.) - Anche gli avvocati potranno farsi pubblicità. Opuscoli, lettere, depliants, annunci su Internet. E poi feste, ricevimenti, convegni. Dopo un lungo e contrastato dibattito, il Consiglio nazionale forense ha infranto uno dei tabù della categoria. Pubblicizzare il proprio studio era di fatto vietato. La liberalizzazione pone alcuni limiti. Di mezzi: no a tv e giornali. E di etica: "correttezza e verità", "riservatezza e segretezza". 
Ma le reazioni sono contrastanti. Non solo gli studi più piccoli temono di essere schiacciati dalla concorrenza più forte. Ma anche professionisti più affermati vedono il rischio di un imbarbarimento della professione. Conferma Giuseppe Frigo, presidente delle Camere penali: "La categoria è molto preoccupata, si teme che la logica dell' impresa entri nell'attività professionale. Noi esercitiamo una funzione, non siamo un'azienda. Dobbiamo quindi svolgere un'informazione rigorosa e non offrire un semplice messaggio pubblicitario". Oreste Flamminii Minuto, penalista di fama ed esperto di comunicazione, si dice invece nettamente favorevole. "A titolo di esempio", spiega, "ricordo di essere stato segnalato da un collega al Consiglio proprio per una pubblicità considerata illegale. Venni assolto perché era un'assurdità. Sono convinto che si trattava di una norma antiquata e che proteggeva invidie e gelosie". Paolo Sodani, penalista: "La scelta", osserva, "apre le porte a chi è già fortissimo sul mercato. Noi offriamo un servizio e in questo modo si rischia di dequalificarlo. Forse bisognerebbe controllare di più la nostra attività e quella dei magistrati, piuttosto che agire verso un liberalismo esasperato". Anche Tommaso Mancini, docente e acuto penalista, reagisce con scetticismo: "Istituzionalmente sono contrario alla pubblicità, perché agevola gli studi economicamente più forti a scapito delle reali capacità professionali". Valerio Spigarelli, vicepresidente della Camera penale di Roma, è categorico: "Sono dell'idea che in questo modo si scivola verso un degrado professionale. Anche se è vero che esiste un divario tra il nostro codice e quello di altri paesi europei". Ed è su questo divario che poggia il suo consenso Nino Marazzita, penalista di grido: "Il nostro codice era troppo rigido. Era necessario eliminare alcuni steccati obsoleti. Unica condizione: che non si abusi della pubblicità e si conservi un'etica di serietà e scrupolo professionale".