In rosso il bilancio dei giudici di pace

da Il Sole 24 ore del 20.9.99

La gestione della riforma dei giudici di pace è in rosso. A cominciare dal fatto che una legge del ’91 (la 374), che prevedeva la nuova figura dei magistrati onorari, ha debuttato dopo quattro anni — era il maggio ’95 — e ha iniziato ad andare a regime solo due anni più tardi. Per finire al cattivo impiego delle rilevanti risorse finanziarie: 2.681 miliardi di lire in otto anni, di cui solo 391 risultano (al ’97) documentati dal ministero della Giustizia.

Per questo la Corte dei conti — che ha fatto le pulci alla riforma — parla di «sprechi rilevanti di mezzi finanziari e di risorse umane che si riflettono sull’efficiente amministrazione della giustizia generale». Occorre, sottolineano i giudici contabili, «un più efficiente impiego delle risorse disponibili», dato che «la gestione è condotta da circa tre anni con criteri antieconomici».

Che dire, per esempio, del fatto che non si sa come siano stati spesi i 756 miliardi stanziati per gli anni 1991-93 (si vedano le tabelle). D’accordo che gli stanziamenti hanno preceduto di quattro anni l’avvio della riforma — e, infatti, i primi costi documentati dal ministero risalgono al ’94 —, ma quei soldi comparivano in bilancio. «Nel periodo in questione — sottolinea la Corte dei conti — risultano svolte operazioni amministrative preliminari, che non comportato iniziative di spesa. Poiché, peraltro, i fondi stanziati non risultano portati in economia, è da ritenere che le risorse siano state utilizzate per finalità diverse da quelle previste dalla legge 374».

Il "buco" è da addebitare anche alle valutazioni poco accurate della spesa iniziale, frutto sia dei ritardi nell’avvio della riforma che del taglio — strada facendo — alle competenze penali del giudice di pace. Il passare del tempo non ha, però, giovato all’analisi dei costi, che è rimasta approsimativa. «La misura dello scostamento tra spesa prevista e spesa documentata — rilevano i giudici contabili — appare, allo stato degli atti, di entità tale da indurre a ritenere che la limitata conoscenza degli oneri all’epoca dell’approvazione della legge sia rimasta pressoché ferma anche durante la fase di attuazione».

In tutto questo gioca un ruolo fondamentale l’inadeguatezza ministeriale a monitorare i flussi degli stanziamenti, così da far apparire ingiustificata «la conoscenza assai tardiva, da parte dell’amministrazione stessa, degli oneri effettivi comportati dall’attuazione della legge». In effetti, soltanto nel ’98 il ministero ha deciso di dotarsi di un servizio di controllo interno, che però stenta a decollare. A tutto discapito della trasparenza dei bilanci.

Ancora una volta ha prevalso la cultura dell’emergenza. E ne ha sofferto l’efficace impiego delle risorse, evidenziato, per esempio, dalla sproporzione tra i costi di alcune sedi giudiziarie in relazione al contenzioso svolto. La legge, spiega la Corte dei conti, ha «imposto di istituire quasi un quarto delle sedi in zone pressoché prive di un’utenza remunerativa del costo di uffici caratterizzati da flussi annui inferiori alle 30 cause iscritte».

Un’adeguata programmazione avrebbe evitato tali sprechi. Avrebbe, al tempo stesso, consentito di far quadrare i conti per l’acquisto dei beni e dei servizi necessari al funzionamento degli uffici dei giudici di pace, calcolati in 700 miliardi per il periodo 1991-97. E invece anche quei costi risultano, a giudicare dalle spese che il ministero ha documentato, sovrastimati.

Antonello Cherchi