Regole e convenienze
da Il Mattino del 20.9.99
Giuseppe Maria Berruti
Soglia minima di carcere per qualunque condannato. Dunque accesso ai
benefici delle buona condotta non prima di un certo periodo di galera vera.
Maggior potere investigativo alla polizia, cioè libertà di
indagare e di non riferire al pm prima di un certo tempo. Ovvero anche
di non riferire affatto, se l’indagine non merita il salto giudiziario.
Infine, ciliegina sbalorditiva su questa torta nostalgica del vecchio codice
inquisitorio, obbligo dei giudici che dispongono una scarcerazione di motivare
la decisione con riferimento a ciò che esclude la necessità
di tenete dentro un accusato. Come esempio di confusione il tutto mi sembra
insuperabile.
Ma come, fino all’altra sera i magistrati erano dei torquemada che
arrestavano sulla sola teoria, cioè sulla sola cervellotica immaginazione
di un reato, chiunque capitava loro a tiro incluso il gatto di casa, ed
oggi debbono essere limitati se scarcerano? Insomma i controlli d’ora in
avanti saranno più stretti sul riconoscimento del diritto di libertà,
anziché sulle sue restrizioni?
La schizofrenia del legislatore, o meglio, della politica, non è
casuale. In Italia destra e sinistra hanno perso da tempo i loro riferimenti
storici sul tema della giustizia. Rispetto alla quale perciò ogni
valutazione dipende solo dalla convenienza immediata che un provvedimento
produce. Nessuno rammenta che oggi la legge che disciplina la carcerazione
preventiva impone al giudice di scarcerare, a meno che non vi sia un concreto
pericolo di fuga desunto da fatti, oppure un concreto pericolo che il reato
sia ripetuto. Insomma l’assassino di sua moglie, se non è bigamo,
può attendere il processo in stato di libertà, perché
nemmeno una moglie può essere uccisa due volte. Ed il ragionamento
vale per qualunque reato. E nessuno si chiede se non sia meglio allentare
questo tipo di vincolo, e lasciare la scelta della libertà o della
custodia alla considerazione della generica pericolosità di un soggetto.
O addirittura se non si debba in via di principio escludere la libertà
provvisoria per delitti come la rapina o il furto e per tutti i delitti
contro la persona. Non si tratta di dire che la corruzione è meno
grave del furto, piuttosto si tratta di prendere atto che l’allarme sociale
che determinano furti e rapine sono fortissimi, e che la carcerazione del
violento è tecnicamente indispensabile per togliere violenza, mentre
quella del corrotto può essere adeguatamente sostituita da altre
cautele. Insomma nessuno si chiede se non sia arrivato il momento, per
destra e sinistra, di ragionare sulla giustizia senza pensare a processi
che hanno nomi, cognomi, e date già fissate.
Sia ben chiaro, il ritorno ad una maggiore discrezionalità della
polizia è assolutamente opportuno. Non si può paralizzare
un intero apparato dietro una concezione immediatamente processuale dell’investigazione.
Deve esistere, ed esiste in tutte le democrazie evolute, uno spazio del
quale la polizia dispone in proprio, e nel quale l’adeguatezza e la rapidità
della risposta prevalgono sulla garanzia. Questa non viene esclusa, ma
posticipata al momento eventuale nel quale l’indagine sfocia in una prospettiva
di accusa. Dunque va benissimo che si pensi togliere alibi e giustificazioni
ad una lentezza intollerabile. Quello che mi pare assurdo è far
dipendere il rigore o il lassismo da qualche aggiustamento della motivazione
degli atti giudiziari, invece che dalla sostanza delle regole.
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