La distensione possibile

da Il Corriere della sera del 20.9.98

di ANGELO PANEBIANCO 
Mentre il governo fronteggia settimane turbolente, sarebbe utile che i leader dell’Ulivo e del Polo si fermassero a riflettere su una circostanza. Se le élite politiche di questo Paese non trovano modo di siglare un «patto» che serva a predisporre alcuni paletti, a stabilire alcune - essenziali - regole del gioco, la nostra democrazia potrebbe andare incontro a rischi non trascurabili, tenuto conto dell’ostilità viscerale che i «gregari» dei due principali, opposti schieramenti, e più in generale i settori della pubblica opinione che in quegli schieramenti si identificano, provano gli uni per gli altri, e per i capi dell’opposto schieramento. 
Spetta ai leader trovare le vie per placare gli animi, per far sì che la politica in Italia cessi di assomigliare a una sorta di «continuazione della guerra con altri mezzi». Urge dunque un «patto». Ma non un patto «per le riforme istituzionali».
Questa è una strada già tentata e già fallita (al massimo, sotto la minaccia del referendum, riusciranno solo a toccare la legge elettorale). No, il «patto» che urge è apparentemente meno ambizioso, più terra terra. Ciò che serve è un modesto «patto per la democrazia», un insieme di garanzie reciproche su cui i leader dovrebbero pubblicamente concordare e un insieme di azioni coerenti col contenuto di quelle garanzie. Un patto di reciproca rassicurazione, insomma, che serva a svelenire gli animi e a farci guardare con un po’ più di serenità al futuro. 
A mio giudizio, quattro dovrebbero essere gli «ingredienti» di questo eventuale patto: 1) Il primo potrebbe essere denominato «lunga vita al governo Prodi». Non è che l’opposizione debba rinunciare al compito di contrastare con durezza le politiche del governo. Essa dovrebbe però pubblicamente riconoscere che serve a tutti, indirettamente anche all’opposizione, che chi ha vinto le elezioni governi fino alla scadenza naturale della legislatura. In modo che, al termine
dei cinque anni, gli elettori abbiano la possibilità di valutare con cognizione di causa meriti e demeriti dell’Ulivo governante. Un governo di legislatura, di cinque anni, rappresenterebbe uno stacco netto con l’andazzo che fu proprio della Prima Repubblica. Costituirebbe un «precedente» di valore politico inestimabile. Anche D’Alema e Marini dovrebbero accettare di non cambiare cavallo fino al 2001. 
2) Contemporaneamente Prodi pone termine alla gravissima anomalia di un governo che dal 1996 è privo di maggioranza sulla politica estera. Un parziale mutamento nella composizione della maggioranza, e la rottura con Rifondazione sono necessari. Del resto, Rifondazione non ha mai fatto parte dell’Ulivo, con essa ci fu solo un patto di desistenza elettorale. La continuità, per l’essenziale, non verrebbe meno. L’Ulivo ha vinto le elezioni e continuerebbe a governare fino alla fine della legislatura. 
3) Sul fronte opposto, Berlusconi fa al più presto la dichiarazione che tutti attendiamo. Non solo ribadisce che, in caso di vittoria del Polo alle elezioni che seguiranno la scadenza naturale della legislatura, non sarà lui il premier ma si impegna anche a ricercare al più presto, insieme ai suoi alleati, il candidato alla premiership. Una simile mossa svelenirà molti animi e renderà meno saliente il tema del conflitto di interessi. Non è affatto necessario che il candidato prescelto sia un capo di partito. Prodi ha dimostrato che si può contare tantissimo avendo a propria disposizione solo gli strumenti di governo. 
4) Il quarto e ultimo ingrediente del «patto» è il più delicato. La maggioranza si impegna ad operare fin da ora per fare sì che, finita la legislatura, e nell’eventualità che le prossime elezioni siano vinte dal centro-destra, al centro-destra stesso siano garantite condizioni di effettiva «par condicio». Il centro-destra dovrà cioè godere degli stessi due vantaggi di cui, dal 1996, gode il centro-sinistra: nessun accanimento giudiziario politicamente «mirato» e nessun complotto presidenziale contro la maggioranza in carica. Si tratta di fare in modo che i poteri - magistratura e Presidenza della Repubblica - che dovrebbero essere politicamente neutrali, lo siano davvero. 
Per quanto riguarda la magistratura non c’è bisogno di pensare a chissà quali tenebrosi complotti. Poiché è evidente che nelle Procure i fan dell’Ulivo sono più numerosi dei fan del Polo, ne deriva - data la grande discrezionalità d’azione dei procuratori - una maggiore probabilità che ad essere colpiti con più zelo siano i politici del Polo piuttosto che quelli dell’Ulivo. Spetta alla maggioranza trovare con l’opposizione punti di incontro (attraverso una più precisa definizione dei ruoli e dei poteri) perché venga garantita la neutralità politica della magistratura. Cosa penserebbero della democrazia italiana gli elettori del centro-destra se domani, senza più Berlusconi al governo, dovessero vedere una eventuale maggioranza di centro-destra, la «loro» maggioranza, ancora una volta sotto pressione giudiziaria, un «privilegio» che dal ‘96 non è mai toccato alla maggioranza di centro-sinistra? Non arriverebbero alla conclusione che in Italia il gioco democratico è truccato? Stesso discorso per la Presidenza della Repubblica. In caso di vittoria del centro-destra anch’esso dovrà godere della stessa condizione di vantaggio di cui, dal 1996, gode il centro-sinistra: un presidente della Repubblica che non «remi contro» la maggioranza in carica. Anche la Presidenza della Repubblica deve tornare a rispettare, sotto questo profilo, la lettera e lo spirito della Costituzione, deve dare le massime garanzie di trattare allo stesso modo, con la stessa neutralità, qualsiasi maggioranza esca dalle urne elettorali. Per una questione, appunto, come direbbe il presidente Scalfaro, di «par condicio». Il che significa che il prossimo presidente dovrebbe impegnarsi pubblicamente in questo senso. E significa anche che gli attuali schieramenti dovrebbero accordarsi per eleggere un uomo o una donna che, per il loro passato e il loro presente, diano le massime garanzie di neutralità politica. Per intenderci, alcuni dei pur degnissimi nomi che circolano, da quello di Prodi a quello di Violante, eccetera, non sono
ovviamente i più adatti. «Par condicio»: cinque anni di governo Prodi, di centro-sinistra e, se poi vince l’attuale opposizione, massime garanzie che i poteri neutrali saranno davvero tali, per dare anche al centro-destra, e al signor X che lo guiderà, analoghe possibilità. Non è forse questa la «normalità democratica» che i leader dovrebbero spingere i rispettivi gregari, anche i più esagitati, ad apprezzare?