Giustizia è fatta in Tv In nome dell’audience

da Il Corriere della sera del 20.9.98

Aldo Grasso, 
Il processo per l’omicidio di Marta Russo è nel pieno di una bufera mediologica: nastri audio tagliati, ritrattazioni filmate in segreto, interrogatori inquietanti. In questo scenario di sospetti e veleni, Raitre manda prontamente in onda «Un giorno in pretura» (venerdì, ore 20.45) dedicato all’interrogatorio degli imputati, Scattone e Ferraro. 
Ancora una volta si pone il problema della giustizia in Tv, acuito, nella fattispecie, da un difficile dibattimento in corso, dalla tempesta che lo ha investito, da problemi non facili che riguardano l’uso di mezzi elettronici. 
La responsabile del programma Roberta Petrelluzzi (che firma anche la regia con Mirella De Vincolis) è apparsa in video per rassicurare lo spettatore: «Come nostro stile, pur avendo un’opinione, non la esprimiamo». Potenza delle parole: ma in un qualsiasi linguaggio l’opinione non si esprime attraverso lo stile? 
La corte, la giuria, gli avvocati, i parenti venerdì sera saranno rimasti incollati davanti al video e da quel complesso e insistito montaggio di immagini (lo stile: primi piani sui genitori a spiare reazioni; dettagli sui gesti degli imputati che non interrogati, annuiscono, negano, sbuffano; stupori misti a segni emotivi, ecc.) si saranno forse fatti un’idea diversa da quella che avevano ricavato dalla dialettica dibattimentale. Forse. 
Non dimentichiamo perciò che una trasmissione ubbidisce più alle leggi della trasmettibilità che a quelle della giustizia, e queste leggi fanno sì che il termine «pubblico» (i processi sono pubblici) si sposti molto, nel senso che il vero oggetto della Tv è sì il pubblico, ma inteso come audience e quindi tutto quello che la Tv fa nel nome del pubblico, nel nome del popolo italiano, lo fa sempre e solo in termine di audience.