E D’Alema media: non è il momento 

da La Stampa del 21.5.98

Non è momento...”: tra le parole che si possono usare per convincere un ministro a ritirare le proprie dimissioni, probabilmente queste sono le meno calorose. Massimo D’Alema, al solito, dirà che si tratta di speculazioni giornalistiche, ma l’espressione che ha usato ieri nei confronti del ministro Flick somiglia tanto ad un rinvio, ad una fiducia a tempo determinato, “sub condicione”.  Forse il Guardasigilli con il suo beau geste, deciso da solo o - secondo una lettura più maliziosa - concordato con lo stesso presidente del Consiglio nel segno della vecchia liturgia delle dimissioni date e respinte, pensava di ottenere qualcosa di più: in un momento in cui è delicato cambiare ogni tassello del governo, Flick, sotto la guida del Professor, ha tentato di costringere il Bottegone a rinnovargli incondizionatamente la fiducia. L’operazione, però, gli è riuscita a metà: Flick - è stata la risposta del maggiore partito della coalizione - rimane lì perché ora non si può cambiare. Non è un granché, ma il ministro non andrà per il sottile e si accontenterà.
Eppoi, come potrebbe lamentarsi. Lui è un privilegiato. Se nella prima o nella seconda Repubblica fosse capitato a qualcun altro quello che è capitato a lui, cioè di assistere impotente alla fuga di quello che è considerato il burattinaio di tutti gli intrighi degli ultimi vent’anni, di un boss mafioso in carozzella e di due banditi dell’Anonima, ebbene di un simile ministro - democristiano, socialista o forzista - i compagni di governo del ministro Flick avrebbero chiesto le dimissioni nella pubblica piazza. E a nulla sarebbe valsa la domanda che va tanto in voga a Palazzo Chigi in questi giorni: che colpa ne ha Flick? 
Invece, niente. In un bagno di realpolitik tutto è rinviato al prossimo incidente.  Come i deragliamenti di tanti treni non hanno sfrattato Burlando dai Trasporti, così le fughe di gruppo non hanno fatto saltare Flick. “Dobbiamo rimanere calmi - ha spiegato D’Alema ai suoi - non possiamo fare mosse azzardate”. Se ce ne sarà proprio bisogno, si varerà un provvedimento legislativo per mettere in galera i condannati dopo il secondo grado di giudizio (salvo poi scoprire che chi vuole svignarsela può farlo anche dopo la condanna di primo grado). Oppure, a scelta, cadrà qualche testa tra gli apparati di polizia.
Tutto giusto, nulla da eccepire perché un responsabile va trovato. Ma si tratta di palliativi che non risolvono la questione politica che è una sola: passata la sbronza per i festeggiamenti dopo l’ingresso nell’Euro, molti si stanno accorgendo che la situazione è meno rosea di quanto qualcuno vorrebbe far credere. Il governo dell’Ulivo non riesce ancora a marcare una forte “discontinuità” - per usare questa brutta espressione - con i precedenti. 
E quelli che soffrono più questa condizione non sono quelli che ci sono abituati, quelli che erano al governo anche ieri, cioè gli ex-dc come Prodi o Marini, ma quella sinistra che nella stanza dei bottoni è entrata solo oggi con la promessa di cambiare tutto e in meglio. 
Ieri al gruppo di Montecitorio dei democratici di sinistra si sono ripetute ancora una volta le scene di disaffezione verso il governo. Sul pianerottolo, davanti ai cronisti, ad esempio, il ministro della pubblica Istruzione Berlinguer non ha evitato di ironizzare verso i colleghi in difficoltà: “Perché ho un ministero tranquillo?  Perché funziona...”. Mentre nell’ennesimo vertice tra D’Alema, Veltroni e i capigruppo Salvi e Mussi l’obbligo di rinnovare la fiducia a questo o a quel ministro è stato accompagnato da una montagna di critiche. “Quella che manca - ha osservato D’Alema - è la capacità di reazione. Di incidenti ne possono succedere tanti, il problema è come vengono affrontati”. E sul banco degli imputati oltre a Flick è finito anche qualcun altro. Tanto per dirne una, la tesi del ministro dell’Interno Napolitano secondo cui “non si possono controllare” quei delinquenti che stanno per essere condannati in terzo grado, è stata definita da tutti “insostenibile”. Mentre il presidente dei senatori, Salvi, è andato ancora più in là: “Se Flick - ha avvertito - vuole le nostre scuse nella riunione di domani dei capigruppo della maggioranza, per quanto mi riguarda se le sogna”.  Se poi dallo stato maggiore del partito si passa ai parlamentari, le critiche si fanno più feroci. “Avete visto che bella operazione dc - era la battuta che ieri pomeriggio andava ripetendo in Transatlantico il diessino romagnolo Giordano Angelini -. Prodi ha chiamato Flick e gli ha detto: “Dimettiti che poi io ti respingo le dimissioni””. Mentre Sergio Soave, un deputato piemontese, è ancora più spietato: “Ci vorrebbe un bel rimpasto. Prodi dovrebbe cambiare subito due-tre ministri. Sarebbe suo interesse. A cominciare da Napolitano che va bene per periodi più calmi. E’ andato nel ministero degli scheletri nell’armadio e non ha trovato niente, di contro continuano a comandare i direttori generali e scappano i delinquenti. I furti dei quadri? Beh, è stato fatto qualcosa, Veltroni non è andato alla partita della Juventus. C’è poco da scherzare, comunque. Al Bottegone gira un sondaggio della Swg che dimostra quanto ci ha penalizzato la fuga di Gelli.  Vedrete che queste cose le pagheremo già nelle prossime amministrative”.  ...E, invece, non succede niente: non è il momento . Forse perché, sai per quali elecubrazioni, D’Alema non vuole al ministero della giustizia né un uomo della Quercia, né uno del Ppi (è una tesi che ieri hanno fatto circolare gli uomini di Veltroni). O, più facilmente, perché il segretario del pds, inpegnato sulle riforme, non può ora aprire un fronte anche con Prodi. Meglio aspettare, magari le elezioni europee per fare qualche cambio indolore: chi non va bene lo si può sempre spedire a Strasburgo. Intanto, però, Gelli e i boss mafiosi scappano come un tempo. Come quando governava la dc.
Augusto Minzolini