L’incidente probatorio più esteso passa il vaglio della Consulta 

da Il Sole 24 ore del 21.11.99

ROMA — In attesa che il Parlamento approvi le nuove norme sulle prove in attuazione della riforma costituzionale del "giusto processo", la Corte costituzionale ha promosso quelle vigenti che consentono alle parti — dopo la legge del ’97 sull’articolo 513 del Codice di procedura penale e la sentenza n. 361/98 della Consulta — di ricorrere all’incidente probatorio durante le indagini per interrogare un "pentito" anche in assenza di un rischio di inquinamento successivo, ma solo per garantirsi l’utilizzazione delle sue dichiarazioni in dibattimento. Queste norme, afferma la Corte, non creano alcuno squilibrio tra le parti, non sono irragionevoli né violano il diritto di difesa.

La precisazione è contenuta nella sentenza n. 428/99 (scritta da Guido Neppi Modona) con cui vengono respinte le censure di incostituzionalità mosse da alcuni giudici all’articolo 392, comma 1, lettere c) e d) del Codice di procedura penale perché consentirebbe di ricorrere all’incidente probatorio «in un momento scelto discrezionalmente dalla parte che conduce le indagini». La Corte non ha condiviso questa critica, "salvando" il sistema risultante all’indomani della legge 267/97 e della sentenza n. 361/98. «Un sistema in cui risulta potenziata — scrivono i giudici costituzionali — la facoltà di scelta delle parti in ordine al momento di formazione della prova di cui si discute: a esse è rimessa la valutazione se attivare la formazione anticipata della prova mediante incidente probatorio, ovvero fare esclusivamente affidamento sulla sua assunzione in dibattimento, caratterizzato dalla contestuale attuazione dei princìpi del contraddittorio, dell’oralità e dell’immediatezza, e sulla residua possibilità di recuperare le dichiarazioni precedentemente rese col meccanismo delle contestazioni».

Nessuna irragionevolezza, osserva dunque la Corte, visto che l’attuale assetto normativo rafforza l’esercizio dei poteri dispositivi delle parti in materia di formazione della prova e rende le parti, compresa la difesa, «maggiormente garantite anche nell’ipotesi in cui in dibattimento il dichiarante rifiuti di rispondere». Nessuna violazione del principio di eguaglianza, aggiunge la Corte, in quanto l’equiparazione ai testimoni di coimputati o di imputati in procedimento connesso che parlano di fatti altrui è stata fatta «solo ai fini delle contestazioni nell’esame dibattimentale», ferma restando la differenza assoluta delle due posizioni. La sentenza ricorda infatti che, a differenza del teste, il dichiarante su fatti altrui non ha l’obbligo di giurare, non commette reato di falsa testimonianza se dice il falso o rifiuta di rispondere, ha diritto al silenzio. 

Nessuna violazione del diritto di difesa, assicura infine la Corte, secondo la quale le censure in tal senso «sono frutto di un’insufficiente valutazione delle potenzialità connesse all’esercizio del diritto di difesa nelle varie fasi del processo». Basti solo pensare che l’incidente probatorio può essere chiesto anche dalla persona sottoposta alle indagini e non solo dal Pm. Ma una considerazione assorbe ogni altra: l’incidente probatorio «non preclude la facoltà delle parti di richiedere l’esame in dibattimento, con le più ampie possibilità di contestazioni derivanti da questa fase processuale». Senza dire, conclude la Corte, che se l’esame dibattimentale non ha luogo, «il diritto di difesa è certamente più garantito dai meccanismi che sovraintendono alla formazione anticipata della prova mediante incidente probatorio rispetto all’ipotesi in cui le dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri vengano raccolte unilateralmente dal Pm, senza la partecipazione del difensore dell’indagato cui le dichiarazioni si riferiscono».

R.R.