Archiviate le accuse contro l'ex
procuratore Mele
da Il Corriere della sera del 21.11.99
ROMA - «Questa decisione compensa solo in parte la mia amarezza.
I miei ex colleghi togati del Csm avrebbero potuto e dovuto aspettare prima
di condannarmi...». È il giorno in cui l'ex procuratore di
Roma Vittorio Mele decide di togliersi i sassolini dalle scarpe. Il giudice
per le indagini preliminari di Perugia Giancarlo Massei l'ha prosciolto
dall'accusa di corruzione in atti giudiziari al termine dell'inchiesta
in cui erano coinvolti anche l'ex presidente delle Case di cura riunite
di Bari, Francesco Cavallari, e l'ex direttore della stessa struttura,
Antonio Ricco. E l'ex magistrato sbotta.
L'indagine contro Mele era stata avviata dalla Procura di Perugia dopo
aver ricevuto da Ilda Boccassini, nel febbraio del '98, i verbali con alcune
dichiarazioni di Cavallari, a sua volta arrestato dalla magistratura di
Bari per una serie di episodi di corruzione nella gestione delle cliniche
private. Cavallari aveva raccontato che Mele, all'epoca in cui era procuratore
della capitale, aveva ricevuto da lui denaro ed altri regali (viaggi alle
Maldive ed a Parigi ed un aiuto per l'acquisto di un appartamento) in cambio
dell'interessamento per alcune inchieste: una truffa in cui Cavallari era
imputato, il processo Ligresti e la vicenda Caltagirone-Romanazzi. Durante
l'interrogatorio Mele aveva negato tutto e, insieme al suo avvocato Massimo
Krogh, aveva invitato gli investigatori a «fotografare la sua situazione
patrimoniale». Come poi è avvenuto. E nel provvedimento, il
gip ha messo in evidenza come «nessun elemento sia emerso sull'attività
prezzo della corruzione che Mele avrebbe posto in essere nel compiere atti
del proprio ufficio».
Adesso l'ex magistrato è il consigliere giuridico di Lamberto
Dini al ministero degli Esteri ed è docente alla Luiss. «Ma
non si puo dimenticare d'incanto tutto quello che è accaduto. Per
questa vicenda sono stato costretto a dimettermi», dice con grande
amarezza. Mele se la prende soprattutto con l'organo di autogoverno dei
giudici: «Quando il Csm bocciò la mia domanda per il posto
di presidente di sezione della Cassazione, dimostrò di non avere
coraggio. Si avvicinavano le elezioni, c'era bisogno di un'opera di moralizzazione...
Eppure i miei colleghi conoscevano la mia vita, sapevano tutto di me: sono
stato trattato in una maniera indecorosa».
F. Hav.
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