D’Ambrosio: no all’amnistia

da La Stampa del 21.11.99

Brunella Giovara 
MILANO 
«Lo diceva già il Beccaria secoli fa: quello che scoraggia il crimine è l’ineluttabilità della pena». Perciò, complice Beccaria, il procuratore di Milano Gerardo D’Ambrosio dice no all’amnistia per corrotti e corruttori. E se qualcuno parla di «conciliazione» - il presidente della Camera Violante in un’intervista pubblicata ieri - ebbene, è ancora troppo presto, c’è ancora troppo da fare. Palazzo Marino, giornata di freddo e bambini che anticipano il Natale giocando in piazza. Dentro si conclude un convegno internazionale - «Risposte alle sfide della corruzione» - che ha portato a Milano il meglio degli esperti del campo, in testa lo spagnolo Baltasar Garzón, il pm che tiene in mano l’inchiesta su Augusto Pinochet e quella su Telecinco. Ma il magistrato che ha chiesto al Parlamento europeo di sospendere l’immunità per Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri mette le cose in chiaro subito: delle cose italiane parlare «no se puede». 
Dice che «quella della politicizzazione della magistratura e dell’ingerenza dei magistrati nei fatti della politica è una questione vecchia. Ma l’accusa ai magistrati di fare politica è strumentale: il compito del magistrato è di investigare e di sanzionare i comportamenti illegali». Chi lancia queste accuse «vuole delegittimare le indagini per ottenere l’impunità». 
Nessun nome, nessun riferimento alle sue inchieste più famose. Piuttosto, la denuncia di un «abbassamento della guardia nei confronti della corruzione», e dell’ipocrisia di certi governi «che da una parte dicono di voler combattere la corruzione pubblica e privata, dall’altra non fanno nulla contro i Paesi che accettano di diventare paradisi fiscali». 
Il procuratore di Milano concorda. «Ci vorrebbe più collaborazione internazionale per isolare questi Paesi. Alcuni di questi non rispondono nemmeno alle nostre richieste di rogatoria». Pietro Grasso, procuratore di Palermo, aggiunge che «per quanto ci riguarda, noi continuiamo a svolgere indagini che spero presto porteranno i loro frutti». Anche a Milano si continua a lavorare come ai tempi di Mani pulite. D’Ambrosio fa l’esempio di «alcuni ospedali che avevano acquistato le stesse attrezzature pagandole a prezzi anche otto volte superiori». Per questo motivo «non è ancora il momento di parlare di conciliazione». Mani pulite ha infatti «lasciato fuori parecchi funzionari corrotti. Molti, sebbene individuati, sono ancora in giro». Perciò «sarà possibile fare uno strappo con il passato, e perdonare, solo quando il fenomeno sarà completamente finito. Noi invece vediamo che la corruzione c’è ancora». 
Fino a quando non sarà sconfitta, un’amnistia «potrebbe solo dare coraggio ai timidi». E se la corruzione è una bestia dura a morire, quella politica è la peggiore: «I primi passi di Mani pulite furono proprio per denunciare questi casi. E quello che la classe politica aveva capito è che su quella strada rischiava di sparire: una classe politica corrotta non può sopravvivere». Diventa corrotta anche perché «i partiti per vivere hanno bisogno di soldi: perciò, sì al finanziamento pubblico ai partiti (ma in modo trasparente e in misura sufficiente, giacché «non vengono adeguati dal 1981»). E «non fu un caso se subito dopo l’inizio delle nostre inchieste fu varata la legge Merloni sugli appalti, che dava direttive per assicurare le amministrazioni contro i danni della corruzione. Perché è lo spreco di denaro pubblico il grande pericolo della corruzione. Con la corruzione si fanno opere pubbliche più costose e malfatte». 
Ora siamo arrivati «alla “Merloni ter”, e nonostante la legge lo prevedesse, non è mai stato creato l’Osservatorio indipendente, l’Authority che avrebbe dovuto vigilare sulla gestione degli appalti nell’intero territorio nazionale. Se si vuole veramente tutelare il denaro pubblico, bisogna introdurla e renderla agile ed efficace».