Ragazzini abusati e il boomerang
di una giustizia lenta
da Il Messaggero del 21.11.99
di LUIGI CANCRINI
LA BAMBINA ha soltanto dieci anni. Quattro anni fa è stata abusata
dal secondo marito della madre. La denuncia è stata fatta a scuola.
La madre non ha creduto alla figlia e si è schierata con lui. La
bambina, da allora, vive in Istituto. Attualmente non vede la madre che
continua a ricattarla moralmente: saranno insieme di nuovo, la madre e
lei, solo se ammetterà di essersi inventata tutto.
Incardinato da tre anni, il processo penale va avanti con lentezza
grottesca. Stabilito che non c’è rischio di ripetizione del reato
o di occultamento delle prove, l’abusante (il sospetto abusante) non è
stato arrestato. La difesa teme il giudizio in aula e spera che le prassi
della madre siano efficaci, fa di tutto per rallentare. Si è arrivati
soltanto ora, così, ad un rinvio a giudizio. La bambina dovrà
deporre di nuovo: in Tribunale, sotto gli occhi della madre e del patrigno,
a distanza di cinque anni dal tempo in cui i fatti si sono verificati.
All’interno di una situazione che non è quella creata dalla fantasia
perversa di uno scrittore ma dalla stortura di un sistema giuridico malato
in una regione fra le più ricche e le più evolute dell’Italia
di oggi. All’interno di una situazione che non desta stupore fra gli addetti
ai lavori perché le cose vanno abitualmente così. All’interno
di una situazione in cui l’opinione pubblica ed i mass-media si sono occupati
del caso solo nel momento della denuncia: come se chi davvero vive storie
di questo tipo servisse solo a questo, a provocare emozioni rapide e inefficaci
di paura e di disgusto.
Parlare di lentezza al di là di ogni logica e di pessimo conseguente
funzionamento della giustizia in Italia non costituisce certo una novità.
Nel caso dei bambini che aspettano le decisioni dei grandi dopo aver trovato
la forza di denunciare coloro che li hanno abusati o maltrattati, tuttavia,
il paradosso della giustizia lenta è quello di calare come un boomerang
sulle vittime anziché sui carnefici. Tutelati dai loro avvocati
e da un’applicazione un po’ assurda di un grande principio (la presunzione
di innocenza) uomini e donne malati di pedofilia o di sadismo conducono
una vita normale per loro e pericolosa per gli altri prendendo piacere,
magari, dalle sofferenze morali che continuano ad infliggere. Difesi solo
dai servizi, affidati a degli Istituti, perché non si può
proporre per loro, finché le operazioni giudiziarie non si concludono,
un affido serio o un’adozione, bambini e bambine che hanno avuto il solo
torto di essere abusati o maltrattati pagano un prezzo caro al coraggio
della denuncia e al tentativo di fuggire da una situazione impossibile.
Arrivando, come purtroppo spesso accade, a ritrattare tutto e ritornando
con una delusione definitiva sulla possibilità di uscirne nell’inferno
da cui avevano tentato di fuggire.
Stupisce che, in tanto parlare di abusi e di pedofilia, di vittime
e di carnefici, Governo e Parlamento non abbiano ancora affrontato il problema
tenendo conto di questo aspetto del problema. Basterebbe, probabilmente,
organizzare in pool specializzati i giudici che si occupano dell’accusa
quando un minore viene maltrattato o abusato e stabilire termini perentori
per la celebrazione di questi processi (lo si è fatto utilmente,
in passato, a proposito di conflitti di lavoro) garantendo un’assistenza
legale gratuita al minore coinvolto in queste storie orribili. Persone
serie riunite intorno ad un tavolo riuscirebbero facilmente a mettersi
d’accordo su soluzioni (queste o altre) che non sono particolarmente costose
né particolarmente difficili. Ammesso, naturalmente, che ci sia
ancora lo spazio per un po’ di buon senso nel fluire caotico dei discorsi
promozionali in cui sono impegnati ogni giorno tanti politici italiani.
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