Diliberto: «Gli Usa pensino a ridarci la Baraldini». 

da Il Corriere della sera del 21.11.98

Paolo Brogi 
ROMA - Accolta con soddisfazione dai rappresentanti della sinistra presenti ieri nella piazza del Celio al momento dell’annuncio, la decisione sul caso Ocalan rischia di trasformarsi in una mina a scoppio ritardato per la maggioranza governativa. Erano le 12.15 di ieri quando Luigi Saraceni, il parlamentare verde difensore di Abdullah Ocalan, è stato raggiunto da una telefonata sul suo cellulare. La Corte d’appello aveva deciso. 
«Ocalan da oggi potrà trasferirsi in una nuova dimora», ha annunciato Saraceni ai manifestanti che, alzandosi in piedi, hanno a lungo ritmato «Viva Italia». Poi, mentre veniva data lettura del testo col quale Ocalan ha invitato i curdi a tornarsene a casa, scattavano i primi atti di disobbedienza. «Ho fatto 22 ore di viaggio per Apo - ha spiegato Ismail, giunto con altri 14 curdi dall’Australia -. Finché non saremo sicuri sulla sua sorte, non ce ne andremo. Non è sfiducia nell’Italia, ma timore di pressioni turche». Non è stato l’unico atto di disobbedienza che ha attraversato la giornata politica legata al leader curdo. Traspare imbarazzo negli ambienti di centro della maggioranza governativa. Ma è stato il ministro degli Esteri Lamberto Dini a manifestare apertamente i primi dissapori. Mentre infatti il segretario dei Comunisti italiani,
Armando Cossutta, commentava la «liberazione di Ocalan» come «un merito del governo di centro-sinistra e del ministro comunista Diliberto», Dini ha operato una brusca frenata: «L’interpretazione della decisione della magistratura è stata un pochino facilona. Il curdo sarà praticamente agli arresti domiciliari, non si potrà muovere da Roma, né dovrà fare dichiarazioni politiche e dovrà aspettare l’azione successiva della magistratura». 
Il ministro degli Esteri ha usato toni duri anche con la Germania. «Ci aspettiamo pieno appoggio nei riguardi di questo Ocalan che è atterrato in Italia e che se è venuto qui lo ha fatto anche perché su di lui c’era un mandato di arresto anche delle autorità tedesche. Al di là della loro intenzione o lentezza nel richiedere l’estradizione, le autorità tedesche devono all’Italia pieno sostegno e collaborazione come dall’Italia l’hanno ottenuta in questioni che l’hanno riguardata quando si trattava di attacchi allo Stato tedesco da parte di organizzazioni terroristiche o altro». 
Sono parole piuttosto diverse da quelle pronunciate dal ministro di Grazia e giustizia Oliviero Diliberto: «Non sono né soddisfatto né insoddisfatto - ha infatti affermato -. Non commento le sentenze. Potete però immaginare il mio stato d’animo, dal momento che proprio ieri avevo chiesto alla Corte d’appello di attenuare la misura cautelare per Ocalan. Io però non ho influenzato nessuno, ho semplicemente esercitato un potere che è espressamente previsto dal Codice. Al momento Ocalan è in Italia perché ha scelto lui di venire e ha fatto richiesta di asilo politico. Fino a quando questa domanda penderà non potrà essere espulso. E se la Germania non farà una richiesta d’estradizione, Ocalan sarà un cittadino libero entro 30 giorni». Il guardasigilli non ha mancato di essere pungente con gli Usa, fautori della estradizione.
«Che cosa c’entrano gli Stati Uniti? - si è chiesto -. A questo punto mi verrebbe da domandare per quale ragione non ci restituiscono la Baraldini». 
Da parte sua Walter Veltroni, leader dei Ds, ha ricordato che l’atteggiamento assunto dall’Italia è conforme alla «posizione che in sede di Parlamento europeo è stata presa trasversalmente da quasi tutte le forze politiche». Ieri il Celio ha registrato anche il passaggio di due segretari di partito, il portavoce dei verdi Luigi Manconi e il segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti. Per Manconi la sentenza costituisce «un passo importante in direzione di una
conferenza internazionale sulla questione curda». Fausto Bertinotti, accolto dal coro di «O bella ciao», ha ribadito l’opposizione al governo, ma si è dichiarato favorevole a «incoraggiarne l’azione». «L’esecutivo - ha spiegato Bertinotti - deve andare avanti fino alla conclusione logica di questa vicenda: l’asilo politico».