Ma l’isolamento monastico non salva la Consulta dal sospetto di condizionamenti

da Il Corriere della sera del 21.11.98

Marco Cianca 
ROMA - Zagrebelskiiii... Neppi Modonaaa...Rupertooo... I possenti cognomi sembrano rotolare gravi lungo gli stretti corridoi e nei sontuosi saloni. Un’eco immaginaria che aleggia misteriosa, rimbalzando tra specchi e arazzi. Incute timore, spinge alla soggezione, obbliga al rispetto. I Custodi della Magna Carta sono lì, pronti ad uscire dalle loro stanze con i fulmini della legge in mano. 
È una torre d’avorio, il Palazzo della Consulta. Una torre d’avorio che cela e protegge i quindici sommi giudici. Le urla degli avvocati, i pronunciamenti dei politici, i sospetti dei referendari giungono rarefatti. Un lontano vocìo che la sacralità del santuario costituzionale assorbe e annulla. Non ci sono repliche, reazioni, contraccuse. Il ritornello è ormai storico: «La Corte parla solo con le sue sentenze». 
Ma questo isolamento non è un limite? Nove anni (fino al ‘67 erano dodici) di clausura quasi monastica. L’attività è scandita dall’alternarsi di una settimana «nera», dedicata alle udienze, e una «bianca», incentrata sulla preparazione e discussione delle cause. Per chi non risiede a Roma ci sono quattro foresterie. «La nostra vita si svolge parlando tra noi - ammette Valerio Onida -. Ci conosciamo tutti bene, anche troppo. È un vero lavoro collegiale, con una grande
interazione reciproca. Se c’è un rischio è quello di tagliarci fuori dal mondo esterno. Ma è una scelta obbligata, difensiva, di tutela. Non possiamo dare l’impressione di voler scendere nell’arena». 
Eppure tale conclamata ritrosia non salva la Corte dai sospetti di agire sulla base di precise influenze e forti condizionamenti, magari provenienti dal vicino palazzo del Quirinale. «Non era difficile capire quando era arrivata la parolina», racconta un ex giudice. «Cupola dei partiti», la definì una volta Marco Pannella. Francesco Cossiga scrive che è diventata «un organo di arbitraggio politico costituzionale, non tanto tra valori, quanto tra interessi e poteri in competizione». 
Nella temperie seguita alla sentenza sull’articolo 513 del codice di procedura penale e alla vigilia della discussione sul referendum antiproporzionale, l’ex presidente Aldo Corasaniti invita la consulta «a volare alto, a guardare lontano, a non fermarsi all’hic et nunc. «La Corte Costituzionale - argomenta - afferma e gestisce valori, principi, linee guida destinate a
durare nel tempo. Svolge opera di grande orientamento e quindi non deve avere occhio alla congiuntura, ai piccoli spazi». In 42 anni e mezzo le sentenze sono state 12 mila e 551. 
Ma chi è il giudice costituzionale? Carlo Mezzanotte, che veste il robone cinquecentesco da quasi due anni, risponde citando Costantino Mortati: «Deve avere padronanza del diritto positivo e capire le aspettative di valori, non politiche, della moltitudine». 
«I giornali ci affibbiano etichette che non hanno senso. Che vuol dire, nel concreto, la definizione di cattolico?», si sfoga un altro dei custodi della Costituzione. Certo, sapere quanti giudici vanno a Messa non aiuta a capire le dinamiche interne. Anche perché a coprire tutto c’è lo scudo della «collegialità». Le decisioni, in buona sostanza, vengono prese tutti assieme, nel chiuso della sala affrescata dai dipinti in stile pompeiano di Bernardino Nocchi. Si vota per la sentenza e anche per la motivazione, che viene letta centellinando punti e virgole. 
E le tesi di chi è contrario? Sono affidate a clandestini tam tam, più o meno incontrollati. La soluzione sarebbe semplice: rendere pubbliche anche le opinioni dissenzienti. Una proposta che finora non ha trovato sbocco perché, sostengono i cultori del segreto collegiale, renderebbe più vulnerabile la Corte. Ma ormai i fautori della dissenting opinion sembrano essere la maggioranza. Sostiene Federico Sorrentino, presidente dell’associazione che raccoglie 160 docenti di diritto costituzionale: «I quindici giudici devono avere una tale indipendenza politica e morale da poter esternare la propria opinione senza ricorrere ai pettegolezzi interni». 
Per rendere operativa la divulgazione delle opinioni dissenzienti basterebbe una norma nel regolamento della Corte. La legge non serve: eppure ne ha presentata una il ds Antonio Soda, lo stesso autore della proposta che vuole vietare alla Corte sentenze manipolative confinandola nel recinto del semplice accoglimento o rigetto. Tanto attivismo critico preccupa Ugo Spagnoli, già giudice costituzionale e personalità di spicco dell’ex Pci: «Mi meraviglio per questi attacchi
che vengono da sinistra. La Corte ha una funzione istituzionale di grande rilievo, è un pilastro essenziale di uno Stato democratico». Tra gli uomini di Massimo D’Alema allignano di nuovo i dubbi togliattiani sulla «bizzarria» di un organismo al di sopra del Parlamento, alternativo al potere democratico? Cesare Salvi, capogruppo al Senato dei Ds, sgombra il campo da ogni interpretazione ideologica e rivendica il diritto di critica: «La sacralità del potere non vale per nessuno. La sinistra ha fatto una svolta garantista mentre la Consulta è l’unica al mondo che restringe i diritti dei cittadini». Salvi non è però d’accordo con le iniziative legislative di Soda: «Può sembrare una scelta ritorsiva». E il «giù le mani dalla Consulta» proferito da Scalfaro, con la destra all’offensiva, suggerisce, togliattianamente, prudenza. 
Ma polemiche e proposte non si fermano. Quasi tutti gli ex presidenti della Corte, con poche, lodevoli eccezioni, sono diventati ministri, garanti o presidenti di qualche authority. Gratitudine dei governi? Forse no, ma il sospetto è forte. E allora, per recidere i cordoni ombelicali che legano i giudici alla politica, torna alla ribalta l’idea di rendere l’incarico a vita come negli Stati Uniti (ma non sempre la saggezza dell’anziano si accompagna con la lucidità) o di vietare, per almeno cinque anni, il conferimento di cariche pubbliche o elettive: per essere al di sopra di ogni sospetto tornino al loro mestiere di avvocati, magistrati, docenti. «Prima o poi una tale regola sarà adottata», prevedono gli studiosi. «Sono talmente favorevole a questa strada che la sto seguendo per conto mio», chiosa l’ex presidente Antonio Baldassarre. 
E le sentenze manipolative? «Non sono un segno di prepotenza ma di prudenza - spiega Sorrentino -. Invece di far decadere un’intera disciplina si interviene per renderla conforme alla Costituzione nel presupposto che il legislatore non sia sempre e immediatamente attrezzato a riempire l’eventuale lacuna. La Corte taglia e cuce con una tecnica che non incide sul potere legislativo, anzi lo rispetta». Ma questo taglia e cuci, soprattutto in temi di pensioni e retribuzioni, è una delle cause del debito pubblico. Sentenze da ventimila miliardi l’una. «È vero - concorda Augusto Barbera - ma gli stessi giudici negli ultimi anni hanno cambiato rotta: invece di estendere i privilegi li hanno negati alle categorie beneficate». 
Barbera è tra i promotori del referendum per l’abolizione della quota proporzionale e usa toni pacati. Captatio benevolentiae? No, convinzione che la Corte segua percorsi giuridici precisi che, in questo caso, dovrebbero portare all’accoglimento del quesito elettorale. «Non possono dire no», assicura Giuseppe Calderisi, un altro dei proponenti.
L’analisi delle precedenti sentenze e la comparazione di annosi dibattiti sembrano dar loro ragione. Anche un autorevole ex presidente come Aldo Corasaniti ritiene che ci siano buoni motivi per ammettere il referendum. È difficile pensare che la Consulta non pesi pareri di questo tipo esponendosi a quelle critiche che ne sottolineano la tendenza, rilevata da Gaetano Silvestri, «a porre gli elettori sotto una tutela troppo stretta, discendente diretta della vecchia idea autoritaria della perenne “immaturità” del popolo». 
E in attesa di gennaio, quando dovranno decidere se mandare di nuovo i cittadini alle urne, nella torre d’avorio i Sommi Custodi vanno avanti con il loro lavoro. Tra le cause da esaminare c’è quella sollevata da un tribunale di Crema: che si intende, esattamente, con la dizione «atti sessuali»? La Corte Costituzionale è anche questo.