Diliberto verso la Giustizia. Nesi resta fuori

da La Repubblica del 21.10.98

di UMBERTO ROSSO
ROMA - Voleva salire al Colle ieri sera. Fissato anche l’orario, alle 20. Ma D’Alema non ce l’ha fatta, nuovi ostacoli per la lista dei ministri. Tutto rinviato perciò a oggi. La notte porta consiglio. E il numero dei dicasteri dovrebbe salire a quota 25 per cercare di accontentare tutte le parti in causa:
12 alla sinistra, 12 al centro e Ciampi “fuori quota”.
La guerra è esplosa all’interno dei Popolari, con Gerardo Bianco che resta fuori e dichiara guerra a Marini, ma proprio dal premier incaricato sarebbero venuti forti dubbi sull’incarico al presidente ppi. D’Alema voleva invece Emma Bonino dentro il governo, però la commissaria europea dopo aver parlato con Pannella ha rifiutato, ringraziando comunque sentitamente. Il ministero per le Politiche comunitarie, dopo aver sfiorato Rocco Buttiglione, potrebbe finire adesso al vicesegretario ppi Enrico Letta. Ancora non risolto il problema Udr, che chiede tre ministeri, dei quali due almeno di serie A (Difesa, Poste, e in più anche la Ricerca scientifica) ma ci sono forti resistenze da parte del resto della coalizione.  Gli uomini di Cossiga, in particolare, puntano alle Comunicazioni (avevano già messo in pista la Moratti).  Avanzano, per quello che una volta si chiamava il ministero delle Poste, il nome di Salvatore Cardinale, sul quale si scatena la battaglia. Il fatto è che, a questo punto, viene dato comunque in uscita Antonio Maccanico, che sarebbe una delle vittime illustri del nuovo esecutivo.
Guerra anche per i dicasteri da assegnare ai comunisti, ed è su questo nodo che sono scoppiate forse le complicazioni più forti. Perché toccano la questione Giustizia, il ministero più delicato da assegnare. Succede che, in mattinata, prende quota la candidatura di Oliviero Diliberto come Guardasigilli.
Nerio Nesi, il candidato numero uno dei cossuttiani, si risente:
ha l’impressione che vogliano tagliarlo fuori. Scrive una lettera per annunciare la rinuncia, afferma di volersi dedicare al partito. A quel punto, interviene il capogruppo alla Camera del Pdci: smentisce qualsiasi interesse al ruolo di ministro (andrà a dirigere il nascente partito dei comunisti italiani), chiede a Nesi di ripensarci. Il nome di Diliberto, sostengono i cossuttiani, sarebbe stato messo in giro in modo strumentale.  Però la candidatura del capogruppo a Guardasigilli resta lo stesso, anzi in serata finisce per rafforzarsi. Tutta la bagarre ha anche il sapore di un’ operazione per bruciare Ersilia Salvato, che fra l’altro non vuole il ministero che le è stato offerto, quello delle Pari opportunità. Comunque, il presidente del partito insiste con D’Alema per ottenere due ministeri: uno politico (e quello dei Trasporti non viene ritenuto tale) e un secondo di minor peso, minacciando in caso contrario di andarsene all’opposizione. Anche perché nel frattempo il nome di Nesi è scomparso dal totoministri, viene indicato come presidente dell’Agensud.
In compenso, si risolve lo scontro con i socialisti, che minacciavano di non votare per il governo se non avessero avuto un loro rappresentante dentro l’ esecutivo, visto che non si sentono “coperti” come partito da Giuliano Amato: il ministro dell’Sdi sarà Angelo Piazza, magistrato amministrativo di Bologna, candidato alla Funzione Pubblica.  Altro nome nuovo è quello di Giovanna Melandri, esperta diessina di comunicazioni, che va a prendere il posto di Veltroni al ministero dei Beni culturali. Il nodo della scuola?  Alla fine, dovrebbe spuntarla Berlinguer, accreditato della riconferma, mentre il settore Università e ricerca andrebbe all’Udr, non a Buttiglione però ma a Ortensio Zecchino, capogruppo al Senato. Però il “filosofo” resiste, chiede ancora quel posto, in caso contrario spinge perché il partito non voti a favore del governo D’ Alema ma si astenga. Nella notte si sta trattando ad oltranza.
Dall’organigramma sparisce il nome di Napolitano (agli Interni andrà la Iervolino), mentre non è ancora chiaro se resterà o meno fuori dal governo Claudio Burlando. Potrebbe anche finire alla presidenza del Consiglio come sottosegretario, anche se i nomi più accreditati sono quelli di Franco Bassanini, che avrebbe il compito “operativo”, e di Marco Minniti, nelle vesti di consigliere politico di Massimo D’Alema.