Il dibattito ha già prodotto passi avanti nelle categorie 

da Il Sole 24 ore del 21.10.99

ROMA — Una lunga, lunghissima rincorsa per raggiungere il traguardo finale della modernizzazione. È dagli anni Ottanta che i Governi e gli Ordini cercano la strada per adeguare le regole delle professioni, talvolta di comune accordo, talvolta in aperta polemica. Ma vincoli e nodi, pur conosciuti da entrambe le parti in causa, hanno finora resistito ai tentativi più ambiziosi di legge quadro o di legge-delega, come è il Ddl Mirone. Nel frattempo, nuovi Ordini si sono aggiunti ai precedenti, moltissime nuove attività si sono associate con proprie sigle (ormai il Cnel conta un milione e mezzo di nuovi professionisti senza Albo), l’Autorità Antitrust è intervenuta a più riprese per rammentare agli Ordini gli obblighi della concorrenza e persino la Corte di giustizia Ue ha preso di mira alcune nostre particolarità (come le tariffe) che oltralpe non sono piaciute granché.

Eppure, come segnala anche la scheda qui accanto, le posizioni non sembrano più tanto distanti. Riforma dell’accesso, introduzione di verifiche sulla preparazione degli iscritti, evoluzione dei sistemi tariffari sono esigenze ben conosciute dagi stessi Ordini. Di più: sono condivise. E persino l’abolizione del divieto di esercitare in società è stata accolta da molti non come una minaccia ma come una buona chance. E se la diagnosi è condivisa, non dovrebbe essere così difficile trovare un onorevole compromesso anche sulla terapia.

Negli ultimi mesi, però, ha prevalso lo scontro. Ordini e partiti d’opposizione hanno parlato di «blitz» e «colpi di mano» da parte del Governo, che secondo alcuni non vorrebbe altro che smantellare il sistema delle libere professioni per consentire il dilagare delle società di servizi. L’Esecutivo, da parte sua, ha rassicurato a più riprese gli Ordini sul massiccio utilizzo della «concertazione» e sul mantenimento delle professioni.

In questa altalena di incontri e baruffe, però, sarebbe ingiusto dire che non è successo nulla. Diverse professioni hanno abbattuto il tabù della pubblicità, altre aprono (più o meno drasticamente) ai soci di capitale, e tutte quante attendono che il rinnovamento dei corsi universitari ridefinisca accessi e competenze dei futuri colleghi. Da diversi Consigli nazionali, inoltre, sono state avviate indagini per verificare l’utilizzo dei sistemi di controllo qualità negli studi, e qua e là la base ha già provveduto e vi sono studi legali o tributari che hanno ottenuto la relativa certificazione. Anche il bisogno di aggiornamento o quello di segnalare meglio all’utente le proprie specialità sono diventati patrimonio comune.

Insomma, se la "grande" riforma è in stallo, al punto da far meditare il Governo sull’impiego di un collegato, tante "piccole" riforme si fanno strada. Mentre si discute sui soci capitalisti, prendono piede le reti tra studi di città o di Paesi diversi; mentre il legislatore cerca da un decennio un modo per qualificare le lauree brevi di ingegneria, un altro riordino, quello dei cicli universitari, sta per chiamare gli Ordini a ridefinire competenze ed eventuali suddivisioni degli Albi: che dottore commercialista sarà, tra tre o cinque anni, il laureato triennale in economia? O quello quinquennale?

Intanto — soprattutto — i professionisti aumentano: più 15% in media nell’ultimo quinquennio, vuoi perché le prospettive di occupazione sono quel che sono, vuoi perché la possibilità di esercitare in proprio, prima o poi, fa sempre comodo. E questo aumento dell’offerta non concede tempi troppo lunghi: la concorrenza, all’interno degli stessi professionisti, morde anche più dell’Antitrust.

A questo punto, alla delega chiesta dal Ddl Mirone potrebbero restare soltanto gli scogli dei grandi princìpi: concedere o no una par condicio tra professioni senz’Albo o con Albo? A chi affidare la vigilanza sugli iscritti? Come ripensare i meccanismi d’accesso? Ma su questioni simili, lo stallo potrebbe durare ben più di una manovra.

Mauro Meazza