Per una vera riforma servono più
fondi
da Il Sole 24 ore del 21.10.99 di Marcello Clarich
Anzitutto qual è l’accusa ricorrente? Interferenza dei Tar e del consiglio di Stato nell’attività delle amministrazioni sotto forma di ordinanze di sospensione che bloccano, in particolare, gli appalti di lavori pubblici e ostacolano così la realizzazione di investimenti pubblici, volano dello sviluppo economico e dell’occupazione. In realtà, il primo anello debole del sistema non è il giudice amministrativo, ma è la stessa amministrazione che non è in grado di gestire con professionalità e tempismo le procedure. Spesso basta leggere il bando di una gara di appalto o il verbale di aggiudicazione per rendersi conto di come si tratti di atti scritti male, lacunosi, con errori grossolani. Su di essi hanno buon gioco gli avvocati delle ditte che non hanno vinto la gara. Il giudice amministrativo si trova così di fronte a ricorsi contro provvedimenti indifendibili. Eppure, ed è questa un’altra accusa di segno opposto che proviene dai privati e dalle imprese, i Tar e il consiglio di Stato tendono spesso a guardare con occhio indulgente le amministrazioni. Ma anche il ruolo di supplenza trova un limite oltre il quale un giudice coscienzioso non può spingersi senza negare il proprio ruolo di tutore dei cittadini. Su un piano più tecnico, in realtà, la legge già prevede regole speciali per accelerare certi tipi di processi e rendere meno pressante la richiesta di provvedimenti di sospensione cautelare. In materia di opere pubbliche, in particolare, la legge n. 135 del 1997 prevede la riduzione a metà dei termini processuali e la possibilità per il giudice di compattare la fase cautelare con quella di merito così da emanare subito una sentenza definitiva. In più, lo scorso aprile il Senato ha approvato un disegno di legge (Ddl n. 2934) che rende più snello il processo e introduce corsie preferenziali per i processi nelle materie più importanti (servizi pubblici, privatizzazioni, atti delle Authority, eccetera). In più il progetto di legge, che la Camera dei deputati sta esaminando senza una fretta particolare, aumenta gli organici dei magistrati amministrativi. Il disegno di legge non risolverà certo, con un colpo di bacchetta magica, tutti i problemi, ma è una prima misura concreta che dovrebbe essere varata subito. In realtà, i problemi della giustizia amministrativa, oltre che di tecnica processuale, sono di tipo organizzativo e finanziario. I giudici amministrativi italiani, rispetto a quelli di altri Paesi europei, sono pochi e dotati di scarsi mezzi. Secondo i dati pubblicati da una rivista scientifica, le spese per la giustizia amministrativa a carico del bilancio dello Stato costituivano nel 1997 il 2,33% delle spese globali per la giustizia, ovvero lo 0,023% della spesa globale dello Stato. E poi ci lamentiamo delle inefficienze del sistema e dei ritardi nell’emanazione delle sentenze. C’è un altro fattore di cui tener conto. Il giudice amministrativo è inondato di ricorsi, spesso di importanza modesta, che in altri Paesi vengono decisi in prima battuta da commissioni amministrative indipendenti specializzate in particolari materie o in forme conciliative. Solo in seconda battuta interviene, eventualmente, il giudice. Per risolvere i problemi della giustizia amministrativa occorre dunque agire su più fronti, secondo un disegno unitario. Nel frattempo però il sistema non sta fermo. Solo pochi mesi
fa una sentenza rivoluzionaria della Corte di cassazione (n. 500 del 1999)
ha esteso l’area della responsabilità dello Stato per i danni provocati
dalla lesione di interessi legittimi (si veda «Il Sole-24 Ore»
del 23 luglio). In questo modo, lo stesso problema delle sospensive "bloccacantieri"
potrebbe sgonfiarsi. Le ditte danneggiate in sede di gara potranno chiedere
i danni, ma intanto l’opera pubblica viene realizzata. Non è la
soluzione ideale, ma come compromesso è forse accettabile.
|