“I pm non facciano i poliziotti” 

da La Stampa del 21.9.98

ROMA Oggi Di Pietro dice di non aver mai intimidito i testimoni quando faceva il pubblico ministero, ma io non ho dubbi che pure lui abbia utilizzato certi metodi, il tintinnar di manette...”. Così la pensa Guido Calvi, senatore Ds e avvocato penalista, che sta seguendo da vicino le polemiche sull’interrogatorio dei pm romani a Gabriella Alletto, nell’inchiesta per l’omicidio di Marta Russo.  Perché dice questo, senatore? 
“Per esperienza diretta, e perché certi metodi, usati non solo da Di Pietro ma anche dagli altri pm nel periodo caldo di Tangentopoli, sono diventati una situazione fisiologica delle indagini preliminare”. 
D’altra parte il procuratore di Roma sostiene che i suoi sostituti non hanno commesso alcuna irregolarità. 
“Infatti, e probabilmente dal punto di vista formale ha ragione. Io non ho visto l’intero filmato, ma mi pare che lì il punto centrale sia quando gli inquirenti accusano la testimone di favoreggiamento o concorso in omicidio. Se era solo un’ipotesi va bene, ma se il reato si stava già concretizzando, allora dovevano interrompere l’interrogatorio e chiamare un avvocato”. 
Ma non c’è anche un profilo deontologico da esaminare? 
“Sì, però questa valutazione spetta al Csm, ed è bene che la faccia in piena autonomia. Il problema, per me, è un altro”. 
Quale? 
“Proprio partendo dal fatto che secondo il procuratore è stato tutto regolare, il problema vero è che ormai (ma è un andazzo che va avanti da almeno sei anni) siamo di fronte a una vera e propria torsione della figura del pubblico ministero su se stesso, una mutazione genetica del magistrato in poliziotto. E’ questo che fa impressione e risulta inaccettabile guardando quell’interrogatorio in tv: non è il magistrato che può interrogare in quel modo. Può farlo un poliziotto, ma non chi deve vigiliare sulle garanzie del processo”.
Come è potuta accadere una simile mutazione? 
“Succede perché oggi il momento centrale del processo è diventato quello delle indagini, e non il dibattimento”. 
Secondo il codice non dovrebbe essere il contrario? 
“Certo, siamo all’oppposto delle intenzioni del legislatore. In questa situazione il pm è diventato un soggetto che attraverso la polizia giudiziaria governa le indagini, acquisendo una cultura dell’investigazione a scapito di quella della giurisdizione”.  Invece che cosa dovrebbe fare? 
“Quello che era alla base del passaggio dal vecchio al nuovo codice: garantire il rispetto delle regole da parte degli investigatori, proprio perché c’era il timore che la polizia potesse utilizzare sistemi illegittimi. Le indagini devono avvenire sotto il controllo del pm, non è il pm che deve farle; il magistrato è il tutore della legalità nell’inchiesta, non il protagonista”. 
Ma in un’indagine per omicidio non è normale che anche il pm intervenga?
“Sì, ma l’ansia di raggiungere la verità storica non deve far dimenticare uno dei cardini del processo penale: quello che conta, alla fine, è la verità processuale, raggiunta nel pieno rispetto delle regole. Le forzature derivano proprio dal desiderio di arrivare alla verità prescindendo dalle garanzie”. 
A questo punto ha ragione chi propone la separazione delle carriere tra giudici e pm? 
“Per carità, sarebbe un errore tragico. Stabilire una diversa collocazione del pm senza ripristinare il sistema accusatorio significherbbe cristallizzare la situazione attuale. Se oggi i pm sono ai limiti della cultura della giurisdizione, lo sforzo dev’essere quello di riportali pienamente all’interno, mentre separando le carriere si sposterebbero definitivamente dall’altra parte”. [gio. bia.]