“C’è un rischio condizionamento” 

da La Stampa del 21.9.98

ROMA Il procuratore Vecchione è persona di grande esperienza ed equilibrio, e non si può non dare il giusto peso alle sue affermazioni”, dice Carlo Federico Grosso, fino a due mesi fa vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura che nominò il nuovo procuratore di Roma. 
Dunque secondo lei ha fatto bene a difendere i suoi sostituti?  “In linea generale è normale che il capo dell’ufficio difenda l’operato dei suoi sottoposti, anche se poi, in caso di riscontrate anomalie, ha l’obbligo di riferire agli organi competenti”. 
Però Vecchione dice anche un’altra cosa, forse meno ovvia: attenzione a non incidere su un dibattimento in corso, con iniziative esterne come sarebbe l’azione disciplinare del ministro. Lei che ne pensa? 
“Che il rischio esiste, la questione posta dal procuratore ha un suo fondamento.  Quando in un procedimento in corso vengono segnalati comportamenti anomali e un organo esterno di controllo è chiamato ad intervenire (penso non solo al dibattimento già avviato, come in questo caso, ma ad esempio a ispezioni disposte presso una procura che sta conducendo determinate istruttorie) il problema del condizionamento è reale”. 
E come si risolve? 
“Il nodo da sciogliere è come intervenire nel controllo. Bisogna esercitarlo avendo ben presente il rischio che si corre sia con le iniziative disciplinari di competenza del ministro sia con quelle para-disciplinari di cui si occupa il Csm. E quindi tentando di influire il meno possibile sul procedimento in corso. Se poi esistono profili di nullità degli atti compiuti, allora la cosa riguarda la corte d’assise che sta conducendo il dibattimento”. 
Qui però la questione sembra un altra: sono influenzabili i giudici popolari della corte d’assise da tutte queste polemiche? 
“Questa è una questione più di fatto che di diritto. E’ chiaro che i giudici popolari, più di quelli togati, sono soggetti a possibili condizionamenti difficilmente evitabili quando si decide di esercitare il controllo”. 
Qualcuno ha detto che il presidente del Consiglio s’è spinto troppo avanti con la sua condanna pronunciata alla Camera. Lei che ne pensa?  “Il presidente del Consiglio avrà avuto le sue ragioni per dire quello che ha detto.  In ogni caso, credo che per poter esprimere un giudizio di merito su quell’interrogatorio tanto contestato sarebbe opportuno e prudente visionare l’intero atto e valutare il contesto in cui certe frasi sono state pronunciate”.  Ma a lei che impressione ha fatto vedere quelle immagini in tv?  “Ripeto, bisognerebbe vedere tutto il filmato, e io non l’ho fatto. Certo è che in un’inchiesta per omicidio può anche essere possibile un’iniziativa intensa del magistrato che conduce le indagini per stimolare i testi a dire la verità, anche perché il pubblico ministero deve essere convinto delle prove che porterà al dibattimento. Però ci sono due limiti invalicabili: il rispetto della dignità della persona e non influire sulla libertà di autodeterminazione del testimone. Sono due paletti all’azione del pm che bisogna tenere ben fermi”. 
E i pm romani li hanno superati? 
“Non sono in grado di rispondere, e valutare le situazioni caso per caso è l’unico modo corretto di agire. Stabilire criteri generali che distinguano nettamente tra l’ammonimento quasi doveroso verso il teste che appare reticente o falso dall’indebita pressione è molto difficile. Ci riferiamo a una zona grigia che non si può definire, in astratto, nei suoi contorni esatti”. [gio. bia.]