Il patteggiamento si estende alle sentenze di Cassazione 

da Il Sole 24 ore del 22.12.98

ROMA — Si potrà patteggiare anche in Cassazione, con procedimento in camera di consiglio, rideterminazione della pena e rettifica della sentenza impugnata senza bisogno di annullamento, come di fronte a un errore materiale. Il Parlamento offre una via d’uscita in più a chi abbia riportato una condanna in appello e sia in attesa del ricorso davanti alla Suprema corte. Una novità che interessa migliaia di procedimenti pendenti in Cassazione, compresi i molti “eccellenti” di Mani pulite, e permetterà agli imputati condannati di guadagnare insperati sconti di pena.  Il tutto grazie a una legge approvata domenica pomeriggio dalla commissione Giustizia della Camera in sede legislativa (senza passaggio dall’aula). Raro caso di riunione domenicale di una commissione per varare un provvedimento già rimbalzato varie volte tra i due rami del Parlamento e che entrerà in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta, come avviene per i provvedimenti urgenti. Il progetto, presentato dai senatori di Alleanza nazionale, primo firmatario Giuseppe Valentino, ha poi trovato l’appoggio di maggioranza e opposizione.  Imputato e accusa (il procuratore generale presso la Cassazione), dunque, in forza di questa legge che ha avuto il via libera in occasione delle convocazioni festive delle Camere per la Finanziaria, si mettono d’accordo su una rinuncia totale o parziale ai motivi di ricorso presentati.  E, dice la legge, se «i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena» le parti indicano al giudice la pena su cui sono d’accordo. Inutile sottolineare che la rinuncia al ricorso da parte dell’imputato condannato non potrà avvenire che in cambio di una riduzione di pena (chi, infatti, acconsentirebbe a un aumento della pena?).
La sede del patteggiamento è assolutamente inedita e anomala: la Corte di cassazione, il giudice della legittimità. La vistosa eccezione alle regole, peraltro, riguarda la fase transitoria della legge e vale per i processi giunti al terzo grado di giudizio. Il provvedimento, infatti, ha tutt’altro scopo: introdurre il patteggiamento sui motivi nel giudizio di appello. O meglio, reintrodurlo: già previsto dal Codice di procedura penale dell’89 (articolo 599, commi 4 e 5) fu abrogato dalla Corte costituzionale nel ’90 per eccesso di delega. Un vizio “minore”: la legge delega non consentiva di introdurre, in fase di appello, un accordo sulla responsabilità. 
Da un pezzo deputati e senatori pensavano di riportare nel Codice questo particolare patteggiamento. Intendeva farlo anche un articolo del decreto sul giudice unico (che ora la legge cancella). Ma avrebbe avuto lo stesso vizio evidenziato dalla Consulta nel ’90. Così il Parlamento ha rimediato, andando anche oltre: ha mandato in porto una legge e, rispetto al testo del Governo sul giudice unico, ha aggiunto la norma transitoria, coinvolgendo i processi già in Cassazione. «È una disposizione di carattere temporaneo — spiega il padre della legge, Valentino — che consente che venga riconsiderata la pena già inflitta in appello all’esito di un accordo tra il Pg della Cassazione e l’imputato. Per non creare disparità con chi non ha ancora superato la fase d’appello». E, di fatto, si dà agli imputati una chance in più, del tutto insperata: se avessero potuto patteggiare in appello avrebbero dovuto rinunciare a due gradi di giudizio (appello e Cassazione). Così fanno a meno solo dell’ultimo grado.
Roberta Miraglia