Dodici anni per una sentenza del Tar

da Il Sole 24 ore del 22.2.99

Accerchiati da un arretrato da far paura e che continua a crescere, a corto di organici, in attesa di una riforma che il Parlamento sembra non aver voglia di prendere in considerazione, ai ferri corti con i "cugini" del Consiglio di Stato, i Tar si sono visti piovere addosso nei giorni scorso la reiterata accusa di blocca-cantieri. Il ministro dei Lavori Pubblici, Enrico Micheli, ha elencato i casi di grandi opere pubbliche al palo a causa delle sospensive accordate dai giudici amministrativi.
I cantieri restano in una condizione di limbo — a meno che non intervenga diversamente il Consiglio di Stato — anche per anni, in attesa che arrivi la decisione di merito. E siccome i tempi medi della giustizia amministrativa sono letteralmente biblici — mediamente occorrono quasi dodici anni per una sentenza di primo grado e circa tre per quella di appello —, è alto il rischio che le controversie investite da un procedimento cautelare rimangano sospese a vita.
Va anche detto, però, che per quanto riguarda gli appalti pubblici il legislatore ha previsto una corsia preferenziale. Il decreto legge 67/97, cosiddetto non a caso "sblocca-cantieri", convertito nella legge 135/97, dà al giudice la possibilità di pronunciarsi nel merito, con motivazione in forma abbreviata, già quando esamina la richiesta della sospensiva. Altre disposizioni acceleratorie per le controversie negli appalti pubblici sono inoltre previste dalla legge Merloni: in particolare, l’articolo 31-bis della legge 109/94 prevede che, in caso di sospensiva, le parti possano chiedere al giudice la decisione nel merito, nel qual caso l’istanza va fissata entro 90 giorni dalla presentazione dell’istanza. In questo modo si arriva al verdetto definitivo, appello compreso, nel giro di poco più di un anno. 
Ma per un appalto pubblico anche un anno di stop può essere pesante. Pur a non voler considerare il rischio che l’attesa faccia fiorire intorno alle commesse un sottobosco poco lecito, rimane il fatto che, una volta innescato, il perverso meccanismo delle carte bollate si auto-alimenta. I ricorsi si rincorrono e così le sospensive e le sentenze, per cui l’anno iniziale di moltiplica o triplica. I cantieri fermi lo stanno a testimoniare. Il ministro Micheli ha citato i casi dei teatri La Fenice di Venezia e Arcimboldo di Milano e dell’Auditorium della capitale.
"Se veniamo chiamati in causa, non possiamo non intervenire", fanno notare i giudici amministrativi. Se le parti possono chiedere la sospensiva, se i ricorsi vengono presentati su tutto quanto abbia una vaga parvenza di interesse legittimo, se i verdetti del Tar vengono non di rado completamente ribaltati dal Consiglio di Stato, questo fa parte — sottolineano i magistrati — dei diritti ammessi dal legislatore e della normale dialettica processuale.
E per giustificare i ritardi dei Tar, sommersi dai ricorsi pendenti, che a giugno ’98 hanno toccato quota 838mila, chiamano in causa l’esiguità delle forze, rimaste praticamente le stesse dopo che la legge 1034/71 ha portato sulla scena i tribunali amministrativi. I giudici dovrebbero essere 313, si ritrovano invece in 262, con in più il fatto che quegli organici sono stati previsti per un carico di lavoro di circa 15mila ricorsi l’anno, mentre ora ne ricevono 92mila e riescono a deciderne 43mila.
Oltre la metà dei ricorsi è accompagnata dalla richiesta di sospensiva. Gli interventi cautelari sono in continuo aumento e lo dimostrano le ordinanze emesse dai Tar: nel 1990 erano circa 28mila e nel 1997 sono arrivate a quasi 48mila. Uno dei nodi della giustizia amministrativa sta proprio nel potere dei magistrati di "sospendere" gli atti.
Da più parti si invocano interventi correttivi e il disegno di legge di riforma all’esame del Parlamento interviene su questo argomento (si veda l’articolo sotto). Ma proprio il relatore al Ddl, Giovanni Pellegrino, avverte che l’uso dello strumento cautelare è un «fenomeno che non merita la demonizzazione». «Se la condizione delle cose — aggiunge Pellegrino — è tale da escludere che alla sospensiva consegua la definitiva pronuncia di merito, la patologia sta in questo e non nell’abuso dello strumento cautelare».
Dunque, è sui ritardi per arrivare alla sentenza che si deve intervenire. Pertanto, qualsiasi soluzione si individui, non può prescindere dal ritocco degli organici. Nel disegno di legge all’esame del Senato non si fa riferimento a questo problema, mentre è stato accantonato l’aumento dei magistrati formalizzato in un disegno di legge durante il Governo Berlusconi: si prevedevano 60 giudici in più ai Tar e 20 al Consiglio di Stato.
E, comunque, aumentare gli organici non basta fino a che sui tavoli dei Tar continuerà ad arrivare ogni tipo di lite. La cura per l’esplosione del contenzioso deve allora passare anche per una scrematura delle controversie, così che ai giudici arrivino solo cause selezionate.
Antonello Cherchi