La doppia giustizia 

da Il Mattino del 22.2.99

CAIANIELLO
La giustizia umana può avere senso solo per atto di Fede. Se la si vuole capire affidandosi invece alla ragione i conti non tornano più. Quando qualche giorno fa su queste colonne ho indicato la monetina come possibile alternativa ai giudici, qualcuno, per evidente benevolenza nei miei confronti, ha ritenuto il mio accostamento solo una provocazione. In verità io stesso non so se sia veramente tale o se a ben pensarci l’idea, a prima vista paradossale, possa avere qualche serio fondamento. Non siamo in grado difatti di stabilire se l’apparato giustizia, per come è congegnato, dia un affidamento maggiore della monetina o se invece l’estrema opinabilità di ogni tesi giuridica, faccia sì che, come spesso si dice, una stessa legge a taluno si applichi, per talaltro si interpreti. 
Commentando qualche vicenda giudiziaria di questi giorni, sotto gli occhi di tutti, molti hanno pensato ed altri hanno avuto addirittura il coraggio di dirlo ad alta voce, che in realtà vi sono due giustizie. L’osservazione è incontrovertibile per chi non sa darsi pace che per accuse più o meno analoghe qualcuno riesca a non essere neppure processato, essendo destinato a più gloriose avventure, mentre qualcun altro sia finito addirittura suicida in carcere. La cosa non dovrebbe scandalizzarci se si ponesse un po’ più di attenzione all’accostamento con la monetina. 
In effetti chi si ostina a credere alla potenziale superiorità di un sistema affidato al giudizio degli uomini si rifiuta persino di prendere in considerazione che anche quel sistema si fonda in realtà sul caso. La sorte di chiunque debba avere a che fare con quel sistema dipende dalla combinazione degli eventi che quel certo giorno ci fa trovare di fronte a quell’accusatore o quel giudice, anziché di fronte ad altri. Ed essere accusati o giudicati da un uno anziché da un altro può far cambiare completamente la nostra vita. Habent sua sidera lites, dicevano già i romani nel loro pragmatismo. Nell’ormai dimenticato film di André Cayatte. «Giustizia è fatta», si descrive come le vicende personali e familiari dei giurati finiscono per condizionare inevitabilmente le loro decisioni, anche nei casi più gravi. Ma nonostante ciò i Paesi che adottano anche nelle cause civili il metodo del verdetto immotivato della giuria, sono quelli che hanno i sistemi giudiziari, certamente non esportabili, più rispettati. Eppure la scelta dei giurati è affidata al sorteggio, cioè al caso. In verità il rischio di potersi trovare di fronte ad un giudice reputato cattivo, dal punto di vista di chi lo deve subire, è certamente attenuato dall’affidamento delle cause più gravi ad un collegio anziché ad un giudice singolo, perché chi ha esperienza di queste cose sa che nella collegialità le asprezze e le esaltazioni si stemperano e si compensano. 
Ma il caso, questa volta rappresentato dalla assoluta insensibilità degli ispiratori di una recente riforma, ha voluto che tra poco da noi la garanzia del collegio debba scomparire anche per cause molto delicate. Sempre peggio. Ed allora se la giustizia descritta dai filosofi (ed interessatamente dai giuristi che riescono così a giustificare la propria esistenza), è invece una chimera, perché tante aspettative e tanta pompa intorno ad essa? 
Probabilmente il sistema giustizia potrà nutrire ancora qualche speranza di essere considerato «socialmente utile» se, pur non essendo in grado, a causa della imperfezione dovuta alla sua natura umana, di stabilire equamente il torto e la ragione, riuscirà almeno a mettere in frigorifero le liti ed a tener buone nell’immediatezza del fatto le vittime di un crimine o i loro familiari, con la promessa che i colpevoli saranno «severamente puniti», anche se poi si farà di tutto per evitare che accada. Il tempo intanto sarà trascorso e anche i più esacerbati finiranno per dimenticare: tempus omnia solvit. In alcune epoche storiche la giustizia era affidata alla Saggezza dei «giureconsulti». Le cose secondo qualche storico andavano meglio. 
Ma in verità anche oggi ci accade di incontrare persone del genere, e qualche volta anche tra i giudici, per cui considerandoli dal loro modo di fare dei Saggi, ci auguriamo che se mai dovesse toccarci di essere giudicati, il caso possa metterci di fronte ad uno di loro. Ed invece potrà capitarci come giudice una persona alla quale, nella vita privata, non affideremmo neppure la nostra bicicletta mentre lo Stato gli ha messo addosso il mantello di giudice. Indossarlo non fa diventare Saggio chi già non lo sia per conto proprio, anche se i più tronfi sono fermamente convinti di esserlo per quel solo fatto. Per lo più a dubitare della propria Saggezza sono proprio quelli che consideriamo Saggi e tuttavia non si è mai riusciti a far diventare giudice soltanto chi abbia questa caratteristica, anche perché essa si può solo intuire e mai provare con un concorso. Coloro che considerano perciò «eretico» chi è assalito dal dubbio della ragione, possono rimanere fermi nella Fede nella giustizia solo coltivando la Speranza che i suoi difetti siano emendabili, anche se, qualora venissero al cospetto di un giudice, non si renderebbero conto di poter confidare solo nella sua Carità. Ma essi sono anche i più sfortunati perché, rifiutando di ammettere che nella giustizia degli uomini non potrà mai realizzarsi un dover essere, per cui bisogna contentarsi di quella che è, sono destinati a non darsi pace quando percepiscono che vi sono sempre state due giustizie, una per gli eguali ed una per i più eguali, la seconda forse non affidata al caso.