Scalfaro contro la legge dei boss 

da La Repubblica del 22.3.99

dal nostro inviato GIORGIO BATTISTINI 
CORLEONE - Un saluto carico di significati. Sette anni dopo, un commiato dal punto esatto di partenza. Eletto al Quirinale all'indomani del delitto Falcone, presente a quel drammatico funerale alla vigilia del suo stesso giuramento, Scalfaro torna in Sicilia a poche settimane dalle sue dimissioni anticipate per consegnare un'eredità forte e indignata. Ma anche carica di pesanti allusioni. Parla ai giovani, ma si capisce che pensa anche ad altri. Al microfono, nella piccola piazza di Corleone che per un giorno vede raccolti i vertici dello Stato come mai in passato, invita la scuola a "educare alla legalità e al rispetto della legge". Ha appena ringraziato Violante e Caselli, al suo fianco sul palco drappeggiato di rosso. Il primo per la sua difesa della magistratura, bersaglio ancora recente di attacchi dal centrodestra; l'altro perché impegnato in prima linea nella lotta alla mafia. Omaggio non casuale, si vedrà. E infatti ecco il capo di Stato affermare, in un crescendo anche acustico, che "nessuno ha il diritto di ribellarsi alla legge, di pretendere una legge personale tutta per sé. In un paese civile questa è espressione di prepotenza, e insurrezione contro lo Stato".
Da Corleone, luogo mitico dell'immaginario collettivo per dire mafia e "onorata" società (da qui provengono feroci tribù con padrini come Riina, Bagarella, Provenzano e prima ancora Liggio), Scalfaro dice che "mafioso è chi vuol farsi la legge per sé, questo è il mafioso. Chi vuole sfuggire alla legge di tutti per avere una situazione di privilegio". Dunque "no a un uso personale della legge". Esiste invece un "ancora libero Parlamento, che vota regole uguali per tutti, e tutti i cittadini debbono riconoscerlo come tale". Parole pesanti. Semplici e ultimative. Ma con chi ce l'ha il presidente? Ancora una volta, niente nomi. Solo l'accusa di comportamenti fuori dalla legge o dalla civiltà giuridica. Come quando definì "terroristi" gli avvocati che scioperavano contro la legge. Adesso il bersaglio del Quirinale è al tempo stesso più limpido e oscuro. Viene pochi istanti dopo una difesa di Violante dei giudici contro gli "attacchi gravi e pesanti" subiti ancora nei giorni scorsi. E dopo le parole di don Ciotti (animatore di questa "giornata della memoria e dell'impegno" per ricordare una per una le quasi 400 vittime della mafia dal dopoguerra) di totale intesa col procuratore capo di Palermo Caselli, firmatario della richiesta d'arresto per Dell'0Utri.
Chi aveva allora in mente Scalfaro attaccando il comportamento di quelli che vogliono ritagliarsi privilegi fuorilegge? Interpretazione libera. Non serve troppa malizia, in questo finale di partita al Quirinale non esente da sfoghi anche liberatori, per vedere il presidente schierato ancora una volta a difesa della magistratura. Qualcuno ha ricordato che Berlusconi, solo pochi giorni fa, se l'era presa con i giudici definiti "giacobini": ma il capo dello Stato non ha fatto capire se volesse davvero riferirsi a lui. 
Giornata storica per Corleone, grumo di ricordi e sanguinose allusioni per troppi decenni disonorato dalla mafia e ora d'improvviso visitata da un capo dello Stato. "La guerra non è stata ancora vinta", precisa Luciano Violante, presidente della Camera, "però dall'85 a oggi è stato arrestato un latitante ogni 36 ore. Così, siamo tutti più liberi. Adesso il contributo dei collaboratori di giustizia dovrà passare dalla ricerca degli assassini nei grandi delitti al sistematico recupero dei capitali mafiosi". Serve però anche "una spallata alla burocrazia". Infatti dei settemila miliardi stanziati per patti territoriali e contratti d'area, per offrire cioè lavoro ai giovani sottraendoli all'apprendistato mafioso, "è stato speso soltanto l'1 per cento". "I soldi stanziati dal Parlamento vanno invece spesi tutti. Altrimenti va in pezzi il rapporto di fiducia coi cittadini".