Diritti umani, lavoro, giustizia e sostegno ai Paesi poveri 

da La Stampa del 22.11.99

Maurizio Molinari 
inviato a FIRENZE 
Il vertice ridisegna ruoli ed equilibri nel gruppo dei leader progressisti europei ed americani ma le differenze restano e Massimo D’Alema non riesce a convincere Bill Clinton a far nascere un’unica «Fondazione» per i riformisti di entrambe le sponde dell’Atlantico. Il presidente americano è stato il grande mattatore della tavola rotonda, spingendo gli altri leader a confrontarsi con i temi del nuovo millennio, chiedendogli di contribuire «ad un nuovo Rinascimento» e disegnando un’agenda globale a cominciare dalla cancellazione del debito dei Paesi poveri: «Dobbiamo farlo perché i Paesi in via di sviluppo spendono il poco che hanno per pagare gli interessi e quindi non possono comprare merci e servizi da noi, restano esclusi dalla globalizzazione». Clinton disegna le tappe per il «nuovo Rinascimento»: rispetto per le minoranze, diritti dell’uomo, occupazione piena, giustizia sociale, società dell’informazione, nuovi schemi di produzione ed approvvigionamento energetico. Clinton vola alto, guida la discussione, guarda oltre la sua presidenza (si vota nel novembre del 2000) ritagliandosi il ruolo futuro di leader super-partes del «Riformismo del XXI secolo». Anche per questo bilancia gli interventi fra l’intesa col britannico Tony Blair e la solidarietà col brasiliano Fernando Cardoso, tornando spesso sul Terzo Mondo: «Perché non può essere qui un Paese come l’Uganda, l’unico in Africa ad essere riuscito ad abbassare la percentuale di malati di Aids?». 
Con Clinton proiettato verso la nuova missione nel dopo-Casa Bianca il testimone della «Terza Via» passa a Tony Blair: è stato lui a difendere l’idea di «un nuovo patto fra noi e i cittadini», a duellare col francese Lionel Jospin, e quindi nel finale ad illustrare un vero programma politico. Istruzione, economia, ambiente, sviluppo, occupazione: su ogni «cesto» la ricetta è il «dialogo euro-americano», l’avversario è «la destra estrema e nazionalista che si affaccia in Europa» e le soluzioni sono estremamente pratiche. Come sulla guerra sui cibi modificati: «Ci serve un’autorità europea come quella americana sul controllo della qualità dei cibi». 
Sul fronte opposto il protagonista è stato il premier francese Lionel Jospin. Sulle regole del «nuovo patto sociale» ha ricordato a Blair che a «forti garanzie sociali» non si può rinunciare anche perché consentono di creare tanti posti di lavoro quanti ne ha creati il New Labour. Se Blair ne può vantare 800 mila, Jospin è già a 750 mila. Come dire: è un falso mito che la «Terza Via» garantisce maggiore crescita. Jospin è inarrestabile: sfida Bill Clinton sul terreno a lui più caro, i diritti umani. Prima gli dice: «Vorrei che ogni democrazia rinunciasse alla pena di morte». Poi aggiunge: «Sarebbe bene ratificare il Tribunale Penale internazionale» (a cui gli Usa si sono opposti). E quindi affonda: «L’Europa ha più esperienza ma l’America ha più potenza, speriamo la usi bene». Ma l’exploit è sulla globalizzazione delle culture e delle società: «Va tutto bene ma i francesi hanno Internet e non devono dimenticare perché hanno un loro Paese». Se Jospin è il protagonista inatteso, la sopresa del vertice è il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder: incerto, appannato, lento. Si limita a difendere a denti stretti il «modello renano» di capitalismo (ovvero il ferreo Stato sociale tedesco), suggerisce a bassa voce l’entrata della Cina nel G-8, non raccoglie l’invito a disegnare le riforme del welfare e all’ultimo pronuncia con poche, svogliate parole, l’invito al prossimo appuntamento a Berlino. «Faremo una preparazione scientifica» promette Schroeder, con toni quasi polemici verso i padroni di casa. Per il resto è silenzio. 
In questa cornice di forti differenziazioni del «dialogo comune» Massimo D’Alema ed Fernando Cardoso sono stati i più decisi nel chiedere «un governo politico per l’economia della globalizzazione». «Servono istituzioni internazionali più forti - ha detto D’Alema - senza le quali non ci possono essere né stabilità, né maggiori opportunità né prevenzione dei conflitti». D’Alema incassa un successo di immagine dal vertice ma quando chiude i lavori ha l’amaro in bocca: ammette di desiderare un «confronto permanente fra Europa e Stati Uniti» ma la Fondazione transatlantica che voleva a tutti i costi e di cui aveva parlato sabato con Clinton non si farà. «Faremo una Fondazione italiana, spero europea, qui a Firenze - spiega D’Alema - in collaborazione con la New York University e l’Istituto europeo, nell’ambito di una rete permanente di scambio di idee e informazioni» con gli americani. E’ un compromesso: Clinton pensa ad una sua Fondazione (sul modello di quella di Carter), l’Amministrazione non può impegnarsi per i democratici, la «rete» ci sarà ma sarà un legame assai flessibile. Clinton insomma non è caduto nella rete di D’Alema ma alla fine sulla soglia d’uscita a Palazzo Vecchio lo ha ringraziato per il vertice che lo ha lanciato nelle sue nuova veste di post-presidente: «Massimo you are great!» (Massimo sei grande).