Dal braccialetto al carcere duro
le misure anti-crimine
da La Stampa del 22.9.99
Giovanni Bianconi
ROMA
L’allarme criminalità, per Massimo D’Alema, è una cosa
seria. «Lo comprendiamo - dice -, e vogliamo migliorare la capacità
di risposta dello Stato attraverso scelte organizzative. E ci chiediamo
che cosa si può fare con le leggi che già ci sono».
Per discutere di questo se n’è andato l’intero pomeriggio di ieri
a Villa Madama, e alla fine lo stesso presidente del Consiglio elenca alcune
scelte che il governo ha intenzione di adottare subito, prima delle riforme
che devono passare il vaglio del Parlamento. Come, per esempio, l’applicazione
del «carcere duro» non solo ai mafiosi, ma anche ai detenuti
appartenenti alle organizzazioni criminali straniere.
«C’è la possibilità - spiega D’Alema - che si applichi
la normativa sulla criminalità organizzata anche nei confronti delle
nuove mafie, come per esempio le organizzazioni legate all’immigrazione».
Già nei giorni scorsi il ministro della Giustizia aveva ipotizzato
l’introduzione del «41 bis» per gli adepti della criminalità
albanese, ora c’è il via libera del capo del governo. E ancora:
introduzione del braccialetto elettronico per controllare i detenuti agli
arresti domiciliari, nuovi stanziamenti (500 miliardi) e nuove forze (circa
6.000 uomini in più) per contrastare la «criminalità
diffusa».
Inoltre si tenterà di recuperare al lavoro «sul campo»,
per il controllo del territorio, quanta più gente possibile, tirando
fuori dalle questure e dai commissariati gran parte di quei poliziotti
che ora sono costretti dietro le scrivanie con funzioni amministrative.
E così - come ha proposto il ministro dell’Interno, Jervolino, su
indicazione del Dipartimento della pubblica sicurezza - si proporrà
di assegnare il rilascio dei passaporti non più alle questure ma
ai Comuni.
La sperimentazione del braccialetto elettronico, che dovrebbe avvenire
entro la fine dell’anno, potrà andare di pari passo con l’istituzione
delle sale operative comuni tra polizia e carabinieri. A Milano la novità
sta funzionando, spiega D’Alema, e «entro l’anno funzioneranno anche
a Roma, Torino e Bologna». Poi toccherà a Modena, Napoli,
Bari e Palermo.
La tecnologia darà una mano alle forze dell’ordine pure su un
altro fronte, quello dell’identificazione dei fermati e dei sospettati.
Con il sistema Afis annunciato dalla Jervolino nel seminario, infatti,
entro breve tempo si potrà procedere al confronto elettronico delle
impronte digitali, abbandonando il vecchio metodo dei cartellini, con risultati
più rapidi e più certi. Di questo e di altro D’Alema parlerà
a tutti i questori, i prefetti e i responsabili locali delle forze dell’ordine
convocati a Roma per lunedì prossimo: la sensibilizzazione sull’allarme
criminalità, stavolta, arriverà direttamente dal capo del
governo, e non solo dal ministro dell’Interno.
Prima delle conclusioni di D’Alema, al seminario è intervenuto
il Guardasigilli Diliberto: pochi minuti per ribadire le linee guida del
suo dicastero sull’emergenza criminalità, poi riprese dal presidente
del Consiglio. La legge Gozzini sui benefici carcerari non si tocca - ha
ribadito Diliberto -, ma i giudici che concedono pene alternative dovranno
motivare le loro decisioni, mentre si procederà a rivedere la legge
Simeone che evita il carcere ai condannati a pene inferiori a tre anni:
non varrà per i «recidivi» che si macchiano dello stesso
reato e sarà modificata la parte riguardante la notifica dell’ordine
di carcerazione. «Siamo anche contrari a revisioni costituzionali
in tema di definitività della condanna», ha spiegato Diliberto,
il che significa che viene abbandonata la strada del carcere dopo il giudizio
d’appello. Tuttavia verranno ridefiniti i criteri per i ricorsi in Cassazione,
con la conseguenza che - se non si può fare ricorso - la condanna
d’appello diventa subito definitiva e si aprono prima le porte del carcere.
«Il discorso - spiega il ministro Jervolino - è quello di
non abolire la Cassazione, ma di riportarla alla sua natura reale di giudice
di legittimità, e non di merito. Quindi, due gradi di merito e,
se necessario, uno di legittimità».
In pratica significherà, per gli uffici legislativi dei ministeri,
lavorare sulla riforma (se non sull’abolizione) del ricorso alla Corte
suprema «per mancanza di motivazione» delle sentenze d’appello.
C’è poi, allo studio, l’ipotesi che il giudice d’appello, in determinate
circostanze e di fronte a certi tipi di reati, prolunghi i tempi della
carcerazione preventiva dopo un verdetto analogo a quello di primo grado,
in attesa della Cassazione. Altra proposta avanzata da Diliberto è
l’esclusione dai benefici carcerari per chi non fornisce identità
certa; è un altro punto che dovrebbe servire a contrastare soprattutto
la criminalità d’importazione, visto che col metodo delle false
generalità molti detenuti riescono a ottenere più volte la
sospensione condizionale della pena
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