‘Traffico
di reperti archeologici’ Indagato il procuratore di Enna
da Il Giornale di Sicilia del 23.1.99
CATANIA. (nab) Nuovi clamorosi sviluppi sembrano fare capolino nell’inchiesta
sul traffico internazionale di reperti archeologici culminata all’inizio
di dicembre dello scorso anno e che si aggiunge a un’altra indagine coordinata
dalla Procura di Caltanissetta. A un mese e mezzo dagli arresti eccellenti
salta fuori che il procuratore capo della Repubblica di Enna, Silvio Raffiotta
è indagato dalla Procura di Catania, investita da quella nissena
per ‘legittima suspicione’. Il reato ipotizzato nei suoi
confronti sarebbe quello di ricettazione. Secondo quanto si è
appreso il procuratore Raffiotta sarebbe stato tirato in ballo da un collaborante
che accusa il capo della procura di avere stimato reperti archeologici
provenienti da un ‘saccheggio’ di Morgantina.
La Procura di Catania avrebbe già archiviato un fascicolo aperto
su dichiarazioni dello stesso pentito che aveva accusato il procuratore
Raffiotta di avere ricevuto soldi per accelerare la concessione di un permesso
a un sorvegliato speciale. A palazzo di giustizia ieri mattina bocche cucite
e un visibile imbarazzo da parte dei vertici della Procura che si sono
limitati a dire che l’iscrizione di Raffiotta nel registro degli indagati
è un ‘semplice atto dovuto’. La notizia del coinvolgimento giudiziario
del
procuratore Raffiotta nell’inchiesta sul traffico di reperti emerge
da un’interrogazione parlamentare rivolta al presidente del Consiglio Massimo
D’Alema e al ministro della Giustizia Oliviero Diliberto da parte dei deputati
di An, Sergio Cola e Alberto Simeone. I parlamentari di Alleanza nazionale
si sono interrogati sulla fondatezza della notizia che, nel caso in cui
non fosse confermata, screditerebbe la procura della Repubblica di Enna
da ‘anni impegnata in delicate indagini contro la criminalità organizzata
e comprometterebbe l’incessante lavoro dei magistrati’. L’inchiesta della
Digos su un presunto traffico di reperti archeologici in tutto il mondo
culminò la mattina del 5 dicembre quando i poliziotti della questura
di Catania eseguirono sei arresti. Oltre a Vincenzo Cammarata _ detto il
‘barone’, numismatico di fama internazionale _ furono coinvolti anche Giacomo
Manganaro di 71 anni docente di storia antica alla facoltà di lettere
dell’università di Catania, esperto di numismatica; Salvo Di Bella,
53 anni, docente di geografia politica e tre imprenditori Morando Moretti
di 56 anni, appassionato di numismatica, Alfio Attanasio di 36 anni imprenditore
edile e Gianfranco Casolari di 63 anni, perito del tribunale di Rimini,
gestore di un importante studio numismatico a San Marino. Tutti e sei furono
scarcerati su disposizione del tribunale della libertà che annullò
l’ordine di custodia del giudice Ferrara per vizi di forma. Anche il ‘barone’
ottenne la libertà perché nel fascicolo trasmesso al tribunale
del riesame non erano state inserite in ‘toto’ le intercettazioni telefoniche.
Vincenzo Cammarata, però, il 9 gennaio ritornò in carcere:
il gip Ferrara, temendo che potesse inquinare le prove, emise una nuova
ordinanza di custodia cautelare. A far scattare l’inchiesta durata oltre
un anno una serie di esposti anonimi e le dichiarazioni di alcune persone
arrestate nel mese di marzo nel corso di due operazioni antimafia che avevano
messo in luce un legame tra le cosche della mafia e un influente traffico
di beni archeologici. Nel corso del blitz la polizia ha sequestrato decine
di migliaia di pezzi per un valore approssimativo di un centinaio di miliardi.
Natale Bruno
|