L’atto
d’accusa dei pm: soldi e minacce per pilotare le accuse dei collaboratori
da Il Giornale di Sicilia del 23.1.99 MESSINA. Milioni e minacce, incontri tra boss e collaboratori di giustizia,
contatti e accordi con magistrati e rappresentanti delle istituzioni, il
tutto per coprire verità pesanti, deviare il corso delle indagini
e salvare uomini e cose. Sul conto dei cinque personaggi fermati giovedì
a Messina, il procuratore Luigi Croce e il sostituto della Dna, Carmelo
Petralia hanno raccolto indizi gravi e corposi. Michelangelo Alfano, Santo
Sfamemi, Nicola Urso, Francesco Trinchera e Andrea Pellegrino questa mattina
saranno ascoltati dal gip che dovrà decidere se convalidare i provvedimenti
d’urgenza adottati dai magistrati. Dovranno rispondere alle accuse lanciate
dai collaboratori e dagli inquirenti, spiegare per filo e per segno il
loro ruolo, quei tentativi di pilotare inchieste, i contatti con i giudici.
I primi due sono considerati le menti e i capi dell’organizzazione mafiosa
messinese, gli altri avrebbero tenuto contatti con personaggi diversi per
mettere a segno un piano per ‘destabilizzare alcuni processi in corso a
Messina e Palermo’. Un progetto ricostruito grazie alle dichiarazioni dei
collaboratori e al lavoro delle microspie e venuto fuori nelle ultime tre
settimane. Ecco cosa racconta il 29 dicembre scorso il collaboratore Mario
Marchese: ‘Luigi Sparacio (boss pentito al quale poi è stato revocato
il programma di protezione, ndr) mi convocò a Roma per un incontro,
al quale parteciparono anche Urso e Alfano. Questi mi disse di non parlare
di lui e mi invitò a contattare Gaetano Costa per convincerlo a
ritrattare. Successivamente lo rincontrai e si lamentò delle accuse
di Carmelo Romeo sul ferimento del giornalista Licordari. Mi chiese di
fare delle dichiarazioni che servissero a scagionarlo - mette a verbale
Marchese -. Cosa che feci, ma che poi mi fu contestata dai pm. Alfano,
che tra l’altro mi propose di accusare due sostituti procuratori di avermi
estorto le confessioni, lo rincontrai ancora con Urso e Sparacio e si lamentò
delle dichiarazioni di Gaetano Vitale. So che con quest’ultimo si erano
incontrati a Milano e in altre occasioni. Stabilendo che Vitale avrebbe
scritto tre lettere alle Procure di Messina e Roma e al Servizio centrale
operativo con le quali avrebbe dovuto scagionare Alfano sostenendo di averlo
accusato solo per colpire Sparacio. Si era stabilito che a Vitale andassero
cento milioni’. La storia delle lettere la racconta Vitale ai magistrati
l’8 gennaio scorso: ‘Mi hanno telefonato, non so come hanno fatto ad avere
il mio numero, e mi sono incontrato a Milano con Marchese, il quale mi
ha invitato ad aiutare “Alfano che ci avrebbe fatti ricchi”. Con Alfano,
Urso e Marchese mi sono incontrato diverse volte. Davanti a questi ultimi
due, scrissi tre lettere da inviare ale autorità e andammo all’ufficio
postale di Brescia per spedirle. Ma quando ci separammo andai a ritirarle
e le sostituì con altre tre di diverso tenore. Urso mi diede 90
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