Sofri,
l’ultima battaglia comincerà a metà febbraio
da La Repubblica del 23.1.99
di CLAUDIA FUSANI
FIRENZE - Date e ricorrenze sono fatali. Su alcune occorre soffermarsi.
Il 22 gennaio di due anni fa la Corte di Cassazione decise che Adriano
Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi erano i mandanti e il killer
del commissario Luigi Calabresi. Decise, la Suprema Corte, dopo 26 anni
e dopo cinque controversi gradi di giudizio, che i tre ex leader di Lotta
Continua dovevano scontare 22 anni di carcere. Considerata la loro età,
quella pena suonò come un ergastolo. Il giorno dopo Sofri trascorse
la sua ultima giornata da libero a tenere a bada i giornalisti nella sua
casa di Tavarnuzze. Randi, la sua compagna, andò a lavorare. Il
24 gennaio, alle 12 e 21 minuti, con una fretta generalmente sconosciuta
quando si tratta di condanne definitive, una macchina della Digos sgommò
lungo la stradina sterrata ed eseguì l’arresto. Tre ore dopo Sofri
varcò i cancelli di ferro del carcere Don Bosco di Pisa. Lo aveva
preceduto Ovidio Bompressi. Cinque giorni dopo vi entrò anche Giorgio
Pietrostefani: era a Parigi, nessuno lo avrebbe cercato ma si consegnò.
Sono passati due anni. Sofri, nella cella numero uno, è un fenomeno
di infaticabilità: scrive, legge, dà alle stampe articoli,
rubriche, libri. Pietrostefani ha pubblicato, proprio dalla saletta computer
del Don Bosco, il libro “Il sistema droga - Per capire le cause e punire
di meno”. Un paio di libri, uno di racconti e uno di poesie, li ha scritti
anche Bompressi, da aprile scorso agli arresti domiciliari: il
carcere, che già consuma lo spirito, lo stava finendo nel fisico.
Due anni in cui hanno vissuto solo per proclamare la propria innocenza,
rifiutando ogni sconto e beneficio, e chiedere ed ottenere la revisione
del processo. Decisione su cui, confermando il meccanismo da gioco dell’oca
di questo
caso giudiziario, la corte d’appello di Milano ha detto no per poi
essere pesantemente smentita di nuovo dalla Cassazione. I dadi sono tornati
così nella casella di partenza. Come in un gioco dell’oca, appunto.
Il loro destino è adesso nelle mani della seconda sezione della
Corte d’appello di Brescia, dal 15 dicembre, dopo l’approvazione della
legge Scopelliti, competente sull’istanza di revisione. “La prossima settimana
dovrebbe essere resa nota la data dell’udienza in camera di consiglio”
ha detto ieri Alessandro Gamberini, difensore e artefice dell’istanza.
Le carte sono all’attenzione dei giudici della sezione, relatore Maione,
da oltre un mese. Ed è realistico pensare che l’udienza sarà
fissata per un giorno intorno alla metà di febbraio. Quel giorno
i giudici diranno se ci sarà un nuovo processo per Sofri e compagni.
Oppure se le nuove prove non sono sufficienti per un nuovo giudizio. Se
si dovrà, cioè, buttare la chiave delle loro celle. “Se otterremo
un nuovo processo - ha spiegato Gamberini - in quel caso presenterò
immediatamente la richiesta per la sospensione della pena”. Chiederà
cioè che i tre possano tornare liberi. “Combatterò anche
da qui” disse Sofri entrando in carcere due anni fa. E di battaglie l’ex
leader di Lc ne ha ingaggiate tante. Per sé e per gli altri, affilando
parole e concetti, spiegando spesso da dentro il mondo di fuori, facendo
diventare aperture quei pochi spifferi che riescono ad aggirare le mura
di un carcere. Se le carceri hanno ripreso voce, se da qualche parte in
Parlamento si discute sull’ora di affettività per i detenuti ed
esiste una Commissione che visita le case circondariali, per molto di questo
va detto grazie anche a loro.
“Quella di questi giorni è una delle più tristi ricorrenze
della mia vita e il tempo che passa è molto doloroso” dice Gianni,
il fratello. Ad Adriano Sofri piace ricordare una frase di sua madre: “Non
sono gli anni, sono certi pomeriggi che non passano mai”.
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