Ingroia : il 41 bis scatta già
ora, serve una giustizia veloce
da La Stampa del 23.9.99
ANTONIO Ingroia, lei è uno dei pubblici ministeri di punta della
Procura di Palermo; che cosa pensa dell’idea del governo di estendere le
norme antimafia agli esponenti delle altre organizzazioni criminali, a
cominciare dal carcere duro?
«Penso che intanto sarebbe bene ripristinare l’efficacia del
carcere duro per i boss mafiosi, visto che negli ultimi tempi è
diventato poco più che una scatola vuota. Poi si può pensare
a un regime carcerario più rigoroso per i condannati di reati particolarmente
gravi, ma un’automatica estensione delle norme antimafia mi lascia perplesso».
Per quale motivo?
«Prendiamo il carcere duro, il famoso 41 bis. L’obiettivo di
quella norma è spezzare il legame tra il boss detenuto e l’organizzazione.
E’ una necessità derivante dalla peculiare struttura dell’organizzazione
mafiosa nostrana, diversa da altre strutture criminali. Non mi risulta
che i clan albanesi, per esempio, siano organizzati in modo che i capi
diano ordini anche dal carcere».
Quindi lei che cosa propone?
«Si potrebbe prevedere un regime carcerario più severo,
con meno permessi e minori benefici rispetto agli altri detenuti, per chi
è più pericoloso o s’è macchiato di reati gravi, rapine
comprese. Ma la pericolosità e la conseguente detenzione più
severa deriverebbero dalla figura del condannato e dal reato commesso,
non dall’organizzazione di appartenenza».
Non servono accorgimenti per combattere le organizzazioni criminali
d’importazione?
«Guardi che se un’organizzazione criminale russa, cinese o albanese
che sia presenta le caratteristiche dell’associazione mafiosa, le norme
antimafia scattano già ora. Non solo il 41 bis, ma i tempi d’indagine
più lunghi, l’arresto obbligatorio e via di seguito. Per questo
non credo ci sia bisogno di un’estensione pura e semplice del cosiddetto
"doppio binario" ai reati della criminalità diffusa. Piuttosto mi
paiono interessanti altri interventi annunciati».
Quali?
«Tutti quelli che servono ad abbreviare i tempi del processo,
perché tanto più la giustizia è lenta, tanto meno
la pena ha valore deterrente e tanto minore è la sicurezza dei cittadini.
Per esempio: restringere le possibilità di ricorso in Cassazione,
restituendola al ruolo di giudice di legittimità e non di merito,
servirebbe a far diventare definitive molte sentenze dopo il giudizio d’appello,
facendo scattare l’arresto dopo la seconda condanna senza toccare il principio
costituzionale di non colpevolezza. Altra possibilità: limitare
il giudizio d’appello alla sola dichiarazione di condanna o di assoluzione;
se si conferma la condanna non si può ritoccare la pena stabilita
in primo grado. In questo modo verrebbero a cadere tutti quegli appelli
presentati col solo obiettivo di far ridurre la pena».
Qualcuno propone l’ingresso in carcere dopo l’appello, a prescindere
dal giudizio della Cassazione.
«Una strada può essere quella di stabilire che, di fronte
a reati di particolare gravità, dopo la condanna di appello il giudice
possa ordinare una nuova custodia cautelare, in attesa della Cassazione,
commisurata all’entità della pena».
E se poi la Cassazione annulla la condanna, chi e come risarcirà
il detenuto?
«E’ chiaro che il problema esiste, ma lo Stato deve decidere
a che punto intervenire con un affievolimento di fatto della presunzione
di innocenza. Oggi in Italia si va in galera durante le indagini preliminari,
mentre si rimane a spasso dopo le condanne di primo e secondo grado. Credo
sarebbe meglio stare in galera almeno dopo una condanna».
Un’altra misura annunciata è quella del braccialetto elettronico;
lei è favorevole o contrario?
«Sono favorevole alla sperimentazione, che può servire
a rilanciare una vecchia proposta: applicare il braccialetto anche ai collaboratori
di giustizia che sono liberi o agli arresti domiciliari, per controllarne
i movimenti».
Sta dicendo che le nuove norme anticrimine potranno essere utili anche
nel settore antimafia?
«Sì. Per questo penso che questa emergenza vada affrontata
con interventi organici che potranno migliorare l’intero sistema della
giustizia penale. Oggi la battaglia contro Cosa Nostra non va più
di moda, ma quell’emergenza rimane e si può fronteggiare anche attraverso
misure come quelle di cui si discute. Certo che dopo tutto quello che è
accaduto in questo Paese, fa un certo effetto sperare di ottenere qualcosa
sul fronte antimafia sull’onda di norme disegnate per ladri e scippatori».
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