Galli Fonseca in un'assemblea bacchetta il Parlamento

da Il Mattino del 24.4.99

MARIA PAOLA MILANESIO 
Il Palazzaccio affonda nelle carte bollate. Ricorsi, ricorsi, ancora ricorsi - 72mila soltanto nel ’98 - stanno mettendo in crisi i giudici con l’ermellino. Chiamati a scegliere sul disconoscimento di paternità ma anche sull’impiegato che passa ore al telefono, i magistrati della Cassazione lanciano il loro ultimatum: o si cambia o la marea ci sommergerà. L’occasione è resa unica dall’eccezionalità dell’evento. Il primo presidente, Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, decide di rompere con gli schemi, convocando - cosa mai successa prima - una assemblea di tutti i magistrati di Cassazione, aperta al pubblico. E alla quale hanno presenziato anche il capo di Stato, il ministro della Giustizia e i presidenti di Camera e Senato. 
«Finora la Cassazione ha retto, ma ora si è giunti a una soglia critica» esordisce il primo presidente. Esempi concreti? Nel ’98 sono stati presentati 22.664 ricorsi nel civile, 49.389 nel penale; dal ’93 ad oggi stanno progressivamente aumentando i ricorsi pendenti, tanto che nel ’98 si è toccata quota 70.000 (24.000 per il penale; 45.000 per il civile). «In un caso, il carico di lavoro produrrà presto ristagni e gravissimi ritardi; nell’altro il penale - il ricorso finisce spesso per essere adoperato non per ottenere giustizia, ma sostanzialmente per vanificarla, attraverso la prescrizione o altre cause di estinzione del reato o soltanto attraverso il ritardo nell’esecuzione delle condanne», spiega Zucconi. Il quale non si limita a lanciare allarmi. Per il primo presidente una soluzione c’è ed è rappresentata da «una grande occasione» offerta al Parlamento: la modifica della Costituzione, per introdurre i principi del giusto processo. In questa stessa circostanza, le Camere potrebbero intervenire sull’articolo 111, riprendendo i progetti della Bicamerale sulla limitazione dei ricorsi in Cassazione. Un invito esplicito al Parlamento e al governo (ai quali sarà inviato un documento per suggerire gli interventi legislativi necessari; l’assemblea, tra l’altro, dirà no alle esecutività della pena dopo il secondo grado), affinché riprenda la strada delle riforme. 
Non si salvano dalle bacchettate i giudici dell’uditorio. Nelle settimane scorse, il primo presidente non aveva gradito l’attenzione della stampa, tutt’altra che positiva, sulla Corte: giudici bersagliati da critiche per sentenze come quella sullo stupro in jeans. Da qui, una decisione immediata, che ha suscitato molti malumori: il monitoraggio delle motivazioni delle sentenze. E ieri, Zucconi ha ribadito quale sia il modello a cui puntare: motivazioni scritte in forma chiara e sobria, «in maniera idonea all’immediata, sicura conoscibilità dei principi affermati». 
La prima risposta all’allarme del primo presidente arriva subito. Il ministro della Giustizia, Oliviero Diliberto, concorda sull’eccessiva mole di ricorsi, che non ha eguali in Europa (poco prima Zucconi aveva ricordato che gli avvocati patrocinanti sono 27.000 in Italia, contro i 100 della Francia e i 30 della Germania). «Resta un interrogativo di fondo sulla formulazione troppo ampia dell'articolo 111 della Costituzione, che permette una eccessiva possibilità di ricorso, senza prevedere alcun filtro». La palla, dunque, è lanciata. La partita adesso si gioca in Parlamento. 
Alcune delle loro sentenze sono salite recentemente agli onori delle cronache, suscitando polemiche e dibattiti. I magistrati della terza sezione penale della Cassazione, intervenuti ieri mattina all'assemblea generale convocata da Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, sembrano sostenere, però, in modo piuttosto compatto, la necessità che le sentenze della Suprema Corte non guardino ai fatti, ma si limitino al giudizio di legittimità e trovano che, in alcuni casi, sia la legge a dover essere modificata. Aldo Rizzo, il relatore della famosa sentenza sui jeans, dice: il nostro compito è «controllare se la motivazione della sentenza impugnata è logica» ed intervenire se non lo è e nel caso dei jeans i giudici che componevano la Corte hanno trovato la sentenza d'appello carente di logicità. «C'è stato così un annullamento con rinvio che, certo, non significa affatto che se una donna porta i jeans non possa essere violentata». Il giudice Olindo Schettino, relatore sul caso dell'uomo che mostrava a ragazzini minorenni video hard e materiale pornografico, afferma a proposito di quella sentenza: «È la legge che andrebbe cambiata tanto che c'è stato nel Governo chi ha proposto modifiche di quell'articolo che tratta della corruzione dei minorenni. E finché la legge non viene cambiata, la Cassazione non può far altro che applicarla».